E’ stata la sorpresa di questa 51esima edizione del Montreux Jazz Festival conclusosi ieri sera. Max Richter, classe 1966, nato in Germania da genitori tedeschi ma cresciuto nel Regno Unito è l’indiscussa star della neoclassica o post-classica come preferisce definire lo stesso Richter la propria musica.
All’attivo 8 album in studio, oltre una cinquantina le colonne sonore, e poi musiche per balletti, opere e serie tv. Richter si è fatto notare nel 2002 col disco Memoryhouse : « E’ un viaggio attraverso gli eventi politici del ventesimo secolo. Parla delle grandi guerre, dei conflitti e dei cambiamenti politici dello scorso secolo» (Max Richter, A World Beyond Composing, 2016). Qui sono già chiare la predilezione per il racconto, la sua capacità di evocare piuttosto che di descrivere, e i suoi punti di riferimento. Impossibile non sentire ad esempio il Micheal Nyman del Miserere (1989), dietro la straziante Sarajevo presente nell’album.
Poi arriva The Blue Notebooks due anni più tardi. Più intimo, ma non per questo lontano dall’attualità politica. Lo spunto è quello dell’invasione in Iraq del 2003. Qui abbondano le citazioni, il recupero di oggetti musicali smarriti e ritrovati. Un modus operandi di uno dei padri della musica minimalista come Steve Reich e prima di lui della scuola di Darmstadt cui hanno partecipato compositori del calibro di Pierre Boulez, Bruno Maderna, Karlheinz Stockhausen, Luigi Nono, e Luciano Berio. Oggetti recuperati e rimodellati presenti nel corso dell’intero album: da alcune letture dei Quaderni in ottavo di Franz Kafka o famosi Lieder tedeschi, primo fra tutti, il dolcissimo Hör ich das Liedchen klingen di Robert Schumann tratto dai Dichterliebe del compositore tedesco.
Seguono Songs from Before nel 2006, 24 Postcards in Full Colour due anni più tardi, e Infra nel 2010; mentre si moltiplicano le collaborazioni col cinema, fra cui vale la pena citare Valzer con Bashir, film d'animazione del 2008 scritto e diretto da Ari Folman che gli è valso il premio "miglior compositore" in occasione della 21esima edizione dell’Annual European Awards.
Nel 2012 arriva infine il contratto con Deutsche Grammophon e il successo con il suo Recomposed Vivaldi - The Four Seasons. Una riscrittura quasi completa del classico barocco, che Richter reinventa per oltre 75 per cento.
Sono due i lavori che seguono nella produzione di Max Richter: Sleep nel 2015 e due anni dopo Three Worlds: Music from Woolf Works. Nel primo caso un esperimento: 8 ore di musica scritta collaborazione con il neuroscienziato David Eagleman, eleborata seguendo le varie fasi del sonno e proposta a un pubblico libero di stendersi e di dormire. Un esperimento che ricorda, seppur con altre intenzioni e modalità, Music with Changing Parts di Philip Glass (1994), ma con un approccio – potremmo dire – «scientifico» simile a quello di un Micheal Nyman col suo The Man who Mistook his Wife for a Hat (1986), tratto questa volta da un saggio del neurologo Oliver Sacks.
Più letterario, ma non per questo meno interessante Three Worlds: Music from Woolf Works. Dove il protagonista è Virginia Woolf. In cui sono presenti alcune registrazioni della voce originale della scrittrice inglese e di alcuni brani tratti dai suoi romanzi La Signora Dalloway, Orlando, e Le Onde.
Max Richter è dunque una delle voci più promettenti della neoclassica. Erede della tradizione minimalista, debitore del passaggio sul grande schermo, quasi ossessionato dal recupero continuo di elementi musicali e non del passato; oggetti da incastrare, nascondere o da rivelare nelle proprie composizioni. Un musicista neo o post, come si definisce lui stesso, che ha dunque bisogno di ciò che avvenuto prima o che succede fuori del dominio strettamente musicale per comporre il proprio racconto musicale. Che a Montreux, in apertura della 51esima edizione, ha attirato migliaia di persone. E che promette di riservarci altre sorprese nei prossimi anni.
Riccardo Bagnato