Sembrava una coabitazione che potesse durare ma i militari del Myanmar non hanno digerito la netta sconfitta subita nelle recenti elezioni legislative di novembre ed hanno deciso di porvi fine con un colpo di stato.

Domenica sera la TV statale ha annunciato lo stato di emergenza per la durata di un anno mentre tutti i poteri sono stati dati al generale Min Aung Hlaing, capo delle forze armate. Aung San Suu Kyi e parecchi suoi ministri sono stati arrestati, al contempo l'esercito birmano ha annunciato di volere indire nuove elezioni "libere e regolari" alla fine dello stato di emergenza di un anno, per organizzare un trasferimento dei poteri assunti con il colpo di Stato.

Diversi funzionari della Lega nazionale per la democrazia (LND), partito di Aung San Suu Kyi, sono stati arrestati poche ore prima della riunione inaugurale del Parlamento recentemente insediato e la tempistica non sembra casuale. Da diverse settimane i militari denunciavano “gravi irregolarità” avvenute durante le elezioni legislative di novembre, vinte in modo schiacciante dalla LND. I casi di frode identificati sarebbero milioni, tra cui migliaia di centenari o minori che risulterebbero tra i votanti.

Più di una dozzina di ambasciate, tra cui quella degli Stati Uniti e la delegazione dell'Unione Europea, lo scorso venerdì avevano sollecitato la Birmania ad "aderire a standard democratici", temendo, così come l'ONU, un colpo di stato. La realtà ha dato loro ragione e sin dalle prime ore dopo il colpo di stato si sono moltiplicate le reazioni di condanna. Riusciranno le pressioni internazionali a far scarcerare la leader birmana e riportare la democrazia, seppur parziale, nel Paese?

Ne parliamo con:

Cecilia Brighi, Segretaria generale Associazione Italia-Birmania. Insieme;

Loretta Dalpozzo, collaboratrice RSI, Singapore;

Matteo Fumagalli, docente di relazioni internazionali, University of St. Andrews, Scozia.

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