Letteratura

Narciso l’incurabile

Lo sguardo di Josif Brodskij su Venezia

  • 17 dicembre 2023, 08:36
BRODSKIJ venezia
Di: Marco Alloni 

Scrivere su Venezia è un po’ come misurarsi sulla rima tra “cuore” e “amore”. Quasi sempre è un buco nell’acqua – è proprio il caso di dirlo – e quasi mai chi ha l’audacia di farlo scampa all’oleografia. Come il Colosseo, come la Tour Eiffel, come le Piramidi egiziane, Venezia appartiene all’imperio delle cartoline. E raccontarne qualcosa che travalichi lo stereotipo è tra le imprese più proibitive che si possano immaginare.

Bella, mitica, romantica, misteriosa e malinconica, la città del Canaletto paga infatti l’inflazione del proprio fascino rischiando di perderlo a ogni nuova parola che si spende in merito. Risaputa ed enigmatica in pari misura, è bene che resti nell’ambito dell’esperienza sentimentale o scivoli al più nella penna di un poeta o lungo le spatolature di un vedutista.

Eppure, per le stesse ragioni per cui Venezia è ormai quasi inenarrabile, essa è come se custodisse un linguaggio che reclami di essere portato alla luce. Come se la sua più profonda verità risiedesse in un narrato che – occultato tra i canali e le pareti gotiche e barocche dei suoi edifici, tra gli scorci di questo o quel frammento di città, nelle venature di cielo e d’acqua che si insinuano tra le sue case e sotto i suoi ponticelli ricurvi – da sempre attendesse il miracolo di una voce in grado di indovinarlo e tradurlo in parole.

Non molto diversamente, in fondo, da come da secoli si attende una rima amore/cuore che non incalzi all’invettiva o una descrizione delle Piramidi che non effonda le stonate ecolalie del più vieto orientalismo.

Josif Brodskij, nel suo Fondamenta degli Incurabili, pur muovendosi sull’insidiosissimo crinale che divide l’acutezza dal kitsch e la persipacia visiva dall’oleografia, tale “miracolo” è riuscito in larga misura a compierlo. Se non altro perché, da navigato e scaltro poeta qual era, ha capito che il segreto per raccontare Venezia è raccontare se stessi attraverso Venezia. Magari sposando – in questo Brodskij è anagraficamente un privilegiato – un misticismo all’altro: quello russo, in questo caso, a quello della Laguna.        

Fondamenta degli incurabili

Non è un caso, dunque, che Brodskij scriva in uno dei tanti slanci lirici del libro, accostando l’elemento pittorico-immaginativo a quello filosofico: “Lo scopo comune di tutte le cose, qui, è sempre lo stesso: farsi vedere”. E non è un caso che gli strumenti alchemici con cui scandaglia la città, quasi riecheggiando la famosa massima di Wilde “solo i superficiali non badano alla superficie”, siano essenzialmente due: gli specchi e i colori.

Non certo perché specchi e colori siano di per sé sovrabbondanti alla Serenissima. Ma perché nella loro lastra – trasparente o variopinta che sia, mobile o immobile che si presenti – è la paradossale espressione di un’interiorità: inscindibilmente della città, Venezia, e dello stesso osservatore (in questo caso il poeta, il viaggiatore-poeta, Josif Brodskij).

Verrebbe quasi da dire: Venezia riesce visibile e comprensibile solo quando si fa riflesso di sé e di chi la osserva.

Qualche oscuro demone inconscio deve d’altronde aver abitato Brodskij durante i suoi molti soggiorni in Laguna. Non solo obbligandolo alla malìa ma, molto probabilmente, alla vanità.

Libro della celebrazione e dell’incanto da spettatore, Fondamenta degli Incurabili si fa infatti, quasi in tutte le sue parti, verosimilmente a insaputa dello stesso Brodskij, libro del narcisismo. Città degli specchi e dei colori, la Serenissima si presenta, non solo rispetto al resto della Penisola e del mondo, come una compiaciuta esternazione del bello e dell’elegante, del sontuoso e del magnificente. E almeno quanto si riflette nelle sue acque condiscendenti e complici, altrettanto si riflette nel proprio Carnevale – apoteosi della vanità, dell’orgoglio di sé e del narcisismo.

Lo stesso narcisismo che è di chi, visitandola o attraversandola, a ogni passo si vede riflesso. E se è un poeta, a ogni passo indaga dentro di sé i modi per raccontarsi attraverso il linguaggio della città.

Fondamenta degli Incurabili è dunque questo piccolo capolavoro che, su un piano apparentemente solo urbanistico-monumentale, ci racconta in realtà il rapporto tra poesia e mondo: la poesia proponendosi come espressione del mondo, in prima istanza, ma a un secondo livello anche come esaltazione di sé attraverso il mondo.

E chi conosca Josif Brodskij per le sue esternazioni sui contemporanei – neanche in questo volumetto sono assenti stoccate di dubbia pertinenza – sa bene quanto in lui poesia, narcisismo e mondo rappresentino entità indissolubili.

Venezia, in questo senso, non poteva essere per lui se non il più elettivo degli “specchi”: l’unico in grado di significare la città esclusivamente attraverso gli avventori che si affacciano sulla sua lastra e l’unico che, di fronte a un ospite che sia meno che narcisista, non saprebbe rimandare di sé se non qualche sbiadita eco “cartolinesca”.

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