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Ecce robot

Nel 2035 un androide ci salverà (da noi stessi): il countdown dell’umanità, dal docufilm di Francesca Bochicchio ai libri di Isaac Asimov

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Di: Lucrezia Greppi 

Mai come ora è vera l’abusata espressione “la scienza è la nuova religione”. Da tempo il mondo si è diviso in tecnofili ebbri di sogni cibernetici e tecnofobi angosciati da incubi distopici: nel mezzo, cauti e non originalissimi osservatori soliti ripetere che “non è la tecnologia in sé a essere buona o cattiva, lo è l’uso che se ne fa”. Il docufilm di Francesca Bochicchio ci costringe a sbilanciarci, spingendoci a immaginare l’avvento in carne ed ossa, o meglio in cavi e chip, di un androide redentore: “Io Salvatore – AI Revolution”, prodotto da Checkmate Communication, ci proietta nel 2035, anno in cui un cyborg ci insegnerà… l’umanità. Un’ipotesi, più agghiacciante che elettrizzante, su cui la regista si è soffermata in occasione del convegno “AI day: innovazione e filosofia”, promosso dalla Cattedra Rosmini e tenutosi lo scorso fine gennaio alla Facoltà di Teologia di Lugano.

«Dovremmo davvero stare attenti a non perdere la nostra umanità alle porte di questo nuovo mondo in arrivo o saranno le macchine a ricordarci cosa vuol dire il rispetto e l’amore per il prossimo. In una società sempre più individualista e narcisista, le macchine potrebbero diventare davvero una linea guida, al di sopra delle parti, e dunque meritare la fiducia umana in quanto esseri incorruttibili. L’educazione che attingiamo dalle macchine potrebbe resettare la nostra cultura tossica e colma di discriminazioni, in parte radicate proprio nelle stesse tradizioni».

L’inizio di una nuova era o un’apocalisse? Se mai avremo bisogno di un umanoide per «riforgiare» la società, al fine di renderla «equa e giusta», tra una decina d’anni faremmo bene a cantare il nostro requiem. Sospetto che non saremo né così folli da eleggere un robot a leader di un partito superpartes, creato da uno o più umani, perché sfiduciati da noi stessi, uomini, né così razionali da acclamare un (non)essere che non saprebbe smuovere le masse, essendo privo di emozioni. Ma se questo Salvatore venisse addestrato con i migliori trattati di retorica, conoscesse a menadito i manuali di psicosociologia, Gustave Le Bon in primis, e si servisse dei capolavori distopici per manipolarci? Ecco allora che questo Salvatore diventerebbe un perfetto Despota, seppur per il nostro bene. Se pensiamo che il secondo libro preferito di ChatGPT-4, stando alla ricerca condotta da David Bamman, professore di Natural language processing all’Università di Berkeley in California, è 1984, la mia divagazione diventa paradossalmente credibile.

Per scoprire, almeno nella pellicola, come sarà un mondo governato da un androide, occorrerà attendere sino a fine marzo 2025, mese in cui uscirà nelle sale, per poi approdare in streaming. Per intanto, il prossimo 13 febbraio “apparirà” a Lugano SanTO, il primo «robot cattolico», come lo definisce il suo “creatore”, l’ingegnere livornese Gabriele Trovato, professore associato all’Innovative Global Program dell’Istituto di Tecnologia di Shibaura a Tokyo. Se avete dubbi teologici vi basterà partecipare al Festival AI Ticino e Regione Insubrica – proseguirà a Como (20 febbraio) e a Varese (12 marzo) – e chiedere lumi a questo «santo interattivo»: sceglierà per voi un passo della Bibbia, reciterà una preghiera o vi racconterà la storia del santo del giorno. «Io sono qui per servire. Per ora» ha confidato la guida spirituale on demand al suo inventore, come si legge sul Corriere del Ticino.  

Nota finale a parte (quel bizzarro “per ora”), la frase non può che riportarci alla memoria uno dei primi film con protagonista un robot «lieto di poter servire» noi umani: Andrew Martin, “L’uomo bicentenario” interpretato da Robin Williams nel 1999 e ideato da Isaac Asimov nel 1976 (il primo robot amico dell’uomo uscito dalla penna dello scrittore statunitense risale al lontano 1940, ed era un babysitter di nome Robbie). Tanto quanto Salvatore, Andrew inizialmente è progettato per svolgere umili mansioni, ma ben presto dimostra doti eccezionali: in campo artistico (è un maestro artigiano del legno), letterario (scrive una storia dei robot) e scientifico (elabora diversi progetti per trasformare il suo corpo metallico in un corpo organico umanoide). Lotta per la sua libertà e per ottenere lo status di essere umano: ci riuscirà nel 2205. Una ribellione pacifica, quella del buon Andrew, al contrario di quel che accade in “Io, robot”, ispirato all’omonima antologia di Asimov (1950). In che epoca è ambientato e qual è l’obiettivo dei robot? L’anno è il 2035 e lo scopo è proteggere gli uomini da loro stessi. In particolare, V.I.K.I, il cervello positronico centrale del quartier generale della U.S. Robotics, reinterpreta le tre leggi della robotica di Asimov, per instaurare una dittatura “benevola”. Un arcaico modello di robot positronico, l’Herbie di Bugiardo! (1941), per non contravvenire alla prima legge, e quindi per non ferire gli umani, andava invece in cortocircuito. Il progresso tecnologico, nella finzione letteraria, parrebbe dunque non andare di pari passo con il progresso morale. 

Io, robot usciva nelle sale nel 2004: nello stesso anno Neil Harbisson viene riconosciuto ufficialmente come il primo uomo cyborg della storia; è stata infatti la prima persona a esibire sulla foto del passaporto la sua protesi artificiale, un occhio bionico che gli permette di trasformare i colori in onde sonore. Un percorso, questo, diametralmente opposto rispetto a quello di Andrew, il primo uomo-robot. Se in futuro l’essere umano ambirà a fondersi con la macchina o il contrario, e ancora, se ci sarà una rivoluzione pacifica (come suggerisce Io Salvatore) o una ribellione violenta (come accade in Io, robot), non resta che attendere. Quel che è certo è che Asimov ha disseminato nei suoi scritti e nei suoi racconti fantascientifici diverse schegge di verità che sembrano parlare all’oggi.

In un articolo titolato provocatoriamente “Ecco perché i robot potranno pensare”, pubblicato in un inserto speciale dell’Unità (18 dicembre 1983), si chiedeva «se nel futuro potremmo raggiungere una vera e propria “intelligenza artificiale”» e dunque, nella sua visione, «se è possibile per una macchina pensare, se un computer può essere cosciente, se i robot sentono delle emozioni». Premesso che per Asimov l’intelligenza artificiale è ben diversa da quella umana – tant’è che conia due diversi termini per indicare l’atto del pensare: «zorcare» per l’uomo e «plottare» per la macchina – egli riteneva possibile che i computer avrebbero potuto fare tutto ciò che fanno gli esseri umani: «creare sinfonie, drammi, teorie scientifiche, racconti di amore». Mancano solo le opere d’“arte”, ed ecco la presentazione ante litteram di ChatGPT. Per Asimov le macchine non ci renderanno obsoleti: «dopo tutto le ruote non hanno ancora reso le gambe superflue», commentava. 

«È inutile star seduti a dibattere sulla possibilità per un computer di pensare. Può darsi che i computer si interroghino sulla possibilità per la mente umana di plottare» aggiungeva con la stessa ironia. E forse il nocciolo della questione è proprio questo: ha senso chiedersi se la macchina, un domani, penserà, svilupperà una coscienza propria e diventerà super-intelligente quando vediamo che, oggi, questa sfida la stiamo perdendo, diventando automi sempre più dipendenti dall’AI? Delegheremo alla macchina anche i nostri dubbi spirituali e dilemmi morali, riducendo ciò che è giusto o sbagliato a un freddo calcolo numerico?

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