«Mi brucerà proprio in questo modo, in ultimo, raccontare tutte queste cose, dell’ospedale, e di lei, e dei pazienti... e di McMurphy. Ho taciuto così a lungo che ora tutto ruggirà fuori di me come un fiume in piena e voi potrete pensare che chi racconta queste cose stia farneticando e vaneggiando, Dio mio; è troppo orribile, penserete, perché sia potuto accadere realmente, è tropo spaventoso per poter essere la verità!». Sono le parole di Grande Capo Bromden, voce narrante del romanzo Qualcuno volò sul nido del cuculo di Ken Kesey (1935-2001).
Protagonista della controcultura statunitense degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, Kesey per mantenersi agli studi di scrittura all’Università di Stanford verso la fine degli anni Cinquanta fece il volontario negli esperimenti promossi dal Veteran Hospital di Menlo Park in California, sugli effetti psicotropi dell’LSD e sul suo possibile uso come mezzo per contrastare le psicosi. Nel periodo in cui si confrontava in prima persona con l’istituzione psichiatrica nonché con i degenti del Veteran Hospital (spesso con gravi crisi allucinatorie), Kesey iniziò a scrivere Qualcuno volò sul nido del cuculo (nel titolo originale One Flew Over the Cuckoo’s Nest, cuckoo significa cuculo, ma in forma gergale indica anche il “pazzo” e cuckoo’s nest denota il nido dei pazzi, cioè il manicomio).
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Ken Kesey
La narrazione porta il lettore “dentro” l’istituzione psichiatrica e ne mette in evidenza le dinamiche di potere e di coercizione. Ciò avviene grazie al personaggio di R.P. McMurphy (colui che “vola” nel nido del cuculo) che, per evitare una condanna ai lavori forzati, si finge malato di mente. Nel nido dei pazzi McMurphy cercherà di rompere la macchina del sistema costrittivo sfidando l’autorità (rappresentata dalla Grande Infermiera Miss Ratched) e spronando gli altri degenti a riappropriarsi di identità, dignità e autonomia. Pagherà la sua insubordinazione con la lobotomia.
L’anno precedente alla pubblicazione del libro di Kesey, lo psichiatra Thomas Szasz (1920-2012), aveva pubblicato Il mito della malattia mentale, nel quale sosteneva che la cosiddetta malattia mentale fosse solo un raggiro per negare i diritti civili agli individui considerati socialmente devianti. Fu un libro rivoluzionario, ma nel 1961 contro di esso l’istituzione psichiatrica promosse una “levata di scudi” che comportò un vero e proprio tentativo di delegittimazione anche professionale di Szasz.
Salvo che negli ambienti controculturali e nei settori radical della società né il libro dello psichiatra né il libro di Kesey all’epoca ebbero una grande diffusione.
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Ronald Laing
Sarebbe stata, però, solo una questione di tempo: in quegli stessi anni stava infatti nascendo l’antipsichiatria, un movimento culturale che dagli ambulatori psichiatrici alle università e infine alla società sviluppava una critica radicale al sistema manicomiale. Parallelamente ai due libri citati, infatti, lo psicanalista inglese Roland Laing pubblicò nel 1960 L’io diviso nel quale sostenne che i cosiddetti deliri e le allucinazioni del paziente psichiatrico esprimessero soltanto diversi sguardi sul mondo e che, proprio per la loro diversità, il sistema, considerandoli pericolosi li trasformava in patologie. L’anno successivo il filosofo francese Michel Foucault con la Storia della follia nell’età classica dipinse la pratica psichiatrica come una disciplina da sempre repressiva e dispotica. Contemporaneamente il sociologo Erving Goffman (1922-1982) diede alle stampe Asylums nel quale descriveva cosa accadeva nelle istituzioni totali, soprattutto negli ospedali psichiatrici, al di là di ogni paravento scientifico o terapeutico. Intanto David Cooper (1931-1986), psichiatra sudafricano che operò soprattutto in Gran Bretagna collaborando anche con Laing, evidenziava i ruoli repressivi e schizogeni delle istituzioni (quella familiare in primo luogo, che lo porterà nel 1971 a pubblicare La morte della famiglia, uno dei testi fondamentali dell’antipsichiatria).
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Jack Nicholson nel ruolo di R.P. McMurphy
Ecco perché quando Milos Forman (1932-2018) cineasta cecoslovacco naturalizzato statunitense, nel 1975 presentò la trasposizione cinematografica di Qualcuno volò sul nido del cuculo, il film non solo ottenne un enorme successo (cinque Premi Oscar, sei Golden Globe, due David di Donatello e numerosissimi premi in altri concorsi internazionali), ma divenne un simbolo di quell’epoca dando voce e immagini alla battaglia antipsichiatrica diventata ormai patrimonio di tutti i movimenti antisistemici in Europa e negli USA.
Il ribelle R.P. McMurphy (Jack Nicholson sullo schermo) e Grande Capo Bromden (l’attore Will Sampson di origine Creek), che nel romanzo e nel film si finge sordomuto per sopravvivere alla coercizione manicomiale e che agisce un atto di pietà nei confronti di McMurphy, ormai ridotto a uno stato vegetativo, divennero così i simboli della lotta libertaria di un’intera generazione.
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Louise Fletcher nel ruolo di Miss Ratched
Era quella generazione antagonista al Potere repressivo simboleggiato dalla Grande Infermiera Miss Ratched (nella pellicola interpretata da Louise Fletcher) che in quegli anni, anche semplicemente affollando i convegni che trattavano di manicomi e antipsichiatria, aveva fatto della lotta al sistema psichiatrico un punto irrinunciabile del proprio agire politico e culturale (fecero “storia” ad esempio i convegni a Milano dedicati a Follia e società segregativa del 1973, a Sessualità e politica nel 1975 e a La follia nel 1976 dove, davanti a migliaia di persone suddivise in vari spazi di incontro, parlarono gli intellettuali più rappresentativi del movimento antipsichiatrico giunti da tutto il mondo).
A sessantatré anni dalla pubblicazione del libro e a cinquant’anni dalla presentazione del film, Qualcuno volò sul nido del cuculo, pur essendo espressione dello spirito del tempo di un’epoca passata, non ha perso nulla della sua forza di denuncia, anzi in tempi come gli attuali dove la diversità viene da più parti interpretata come insubordinazione o patologia, il suo messaggio di libertà torna fortemente come monito.
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Basilea, la psichiatria in mostra
Telegiornale 16.11.2024, 20:00