La ristampa della colonna sonora di “Missione Goldfinger”, film che arrivò nelle sale cinematografiche sessant’anni fa, è lo spunto per questa puntata di Bourbon Street. Da un lato sonderemo alcune interpretazioni jazz dei temi legati alla saga dell’agente 007 – dalle geniali riletture di John Zorn di fine anni ’80 alle versioni più trasognate di Bill Frisell, da quelle di Ben Monder al recente omaggio del trombettista Erik Truffaz alla musica di John Barry, il compositore di tante colonne sonore dei film di James Bond, ma ricorderemo anche la figura di Vic Flick, scomparso sul finire dello scorso anno, lo storico chitarrista inglese che per primo suonò il tema composto da Monty Norman nel 1962 per il primo film della serie, “Agente 007 – Licenza di uccidere”.
D’altro lato cercheremo anche di inquadrare la figura di James Bond entro un quadro psicologico e temperamentale che ne fece un plausibile pendant del musicista jazz del periodo. Non a caso il suo creatore, lo scrittore Ian Fleming, ne plasmò la figura pensando al compositore, musicista e interprete jazz Hoagy Carmichael – autore, fra le altre, di Stardust e Georgia on my mind. L’eleganza nel vestire, il distacco emotivo, la freddezza nell’agire, lo charme del seduttore incallito, l’ostentazione di una virilità spietata e perennemente sopra le righe (qualcosa che oggi fa sorridere ma mette anche po’ a disagio), sono alcuni degli elementi che presentarono l’agente segreto più famoso al mondo come il prodotto di una sensibilità che rifletteva una certa idea del jazz e del musicista di jazz.
Come disse il Bond nell’ennesimo frangente intimo con la Bond girl di turno: this is no time to be rescued (questo non è il momento per essere tratti in salvo).
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