«Fiorisce ovunque nel Seicento, a paragone della letteratura nazionale, la poesia e letteratura dialettale, e consegue […] risultati sorprendenti e duraturi». Il primo posto, in questa cornice di Geografia e storia della letteratura italiana, spetta al Basile, che dà all’Europa un genere tipico, la fiaba popolare nella sua trascrizione letteraria. Tra Boccaccio, del quale è dimidiata contraffazione (Pentamerone), e il Barocco, di cui è capolavoro, si leggerà il Cunto de li cunti (Napoli, 1634 –’36). Tra Benedetto Croce, che lo ha mirabilmente tradotto, e Pier Paolo Pasolini, che lo porta in un magma brulicante: «con questo materiale fetente il letterato umanistico costruisce prose di estrema raffinatezza (Basile): lo arriccia, lo pettina, lo scolpisce, ne fa regge stilistiche, asimmetriche, magmatiche […]. Quello che conta è il brulichio, un verme di mille vermi: “Io chiammo Grazio, Ciullo e Menechiello, / e Cola, e Ciccio, e Renzo e Pascariello…” Il dialetto non poteva non irrompere lutulento e quasi fisicamente caldo dentro questi linguaggi uniti dalla costante della miseria sociale» (Reame di Napoli).
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