Killers of the Flower Moon
La Recensione

“Killers of the Flower Moon”

Un omaggio cinematografico e musicale ai nativi americani

  • Imago Images
  • 6.9.2024
  • 25 min
Disponibile su
Scarica
Di: Franco Fabbri

È raro che un film sia dedicato dal regista all’autore e curatore della colonna sonora, ma questo è avvenuto con il lavoro più recente di Martin Scorsese, Killers of the Flower Moon. È stato anche l’ultimo lavoro di Robbie Robertson, cantante, chitarrista e compositore canadese di ascendenza nativo-americana, mancato un anno fa proprio dopo aver terminato il compito che Scorsese gli aveva affidato. Non era la prima volta. Scorsese si fidava del gusto, delle qualità musicali, dell’amicizia di Robertson, anche se il musicista non era uno di “quei” compositori, come Morricone, Williams, o Zimmer, maestri nella creazione di partiture: Robbie non sapeva nemmeno leggere o scrivere la musica. La conoscenza fra Scorsese e Robertson risale molto indietro nel tempo, almeno a The Last Waltz, il documentario sull’ultimo concerto di The Band, il gruppo nel quale Robertson era uno dei protagonisti. E quanto alle frequentazioni musicali del regista, basta ricordare che fu uno degli operatori delle riprese del festival di Woodstock, nel 1969. Ma, appunto, Scorsese affidava la musica dei suoi film (undici, incluso questo e il penultimo, The Irishman) a Robertson perché sapeva che il suo amico Robbie era capace di mettere insieme musica extradiegetica coinvolgente usando solo qualche chitarra elettrica, un’armonica, rari archi e strumenti a fiato, e al tempo stesso sapeva scegliere musiche “di contesto” azzeccate, prendendo da altri tempi e altri autori (qui addirittura la Original Dixieland Jass Band e Ferde Grofè). Un music editor colto e pieno di gusto.
La vicenda di Killers of the Flower Moon (il titolo è un’espressione della cultura religiosa nativo-americana) è intricata, e il film dura più di tre ore. Inizia con la scoperta causale (e la storia è vera) da parte di nativi della tribù Osage, dell’Oklahoma, che nell’atto di seppellire nel fango un calumet, simbolo della sconfitta culturale rispetto all’invasione delle loro terre, scoprono che da quel fango zampilla il petrolio. Siamo all’inizio degli anni Venti del Novecento. Poiché le leggi garantiscono loro il possesso delle risorse della riserva, si trasformano in petrolieri e diventano enormemente ricchi, attirando mestatori e avvoltoi di ogni tipo. Chi conosce il cinema di Scorsese può immaginare che se nelle prime sequenze compare un Robert De Niro nel ruolo di un vecchio zio benevolo le cose poi non andranno proprio così. E nemmeno Leonardo Di Caprio nella parte di un bravo reduce della Prima Guerra Mondiale promette molto di buono. Forse solo un cantautore rock, figlio di una nativa delle Sei Nazioni, una Cayuga e Mohawk, poteva offrire a questo intreccio un vertiginoso equilibrio.

Scopri la serie

Correlati

Ti potrebbe interessare