Resilienza è diventata una parola alla moda. Troppo. Ma se c’è qualcosa cui questo termine si attaglia, questo qualcosa sono le tradizioni musicali folkloriche. Da decenni etichette come “folk revival”, “world music”, “roots” ecc. sono dilagate.
Fenomeni disparati, ma che verosimilmente vanno al di là delle ondate modaiole che via via si susseguono con i loro neologismi. Sono in particolare quelle regioni, quelle culture, o enclave che si identificano nelle minoranze linguistiche ad alimentare questi fenomeni. E molto spesso, ci si stupisce per l’insospettata vitalità e originalità di tante musiche e musicisti.
In Europa, una di queste culle, fra le tante, è l’Occitania. Un nome millenario ed evocativo il cui statuto particolarissimo è evidente persino nell’asettico linguaggio amministrativo che, in Francia, la definisce come la regione incastrata fra Nouvelle-Aquitaine e Provence. Siamo infatti in quella culla linguistica da cui, in epoca medievale è scaturito quel che sappiamo, ossia grandissima parte della tradizione musicale e poetica dell’Europa del Sud.
Ed ecco allora, oggi, Les Mécanos, un ensemble vocale del quale è uscito il primo album intitolato Usures. Nuovo capitolo di una scena musicale vivacissima, che coltiva e reinventa la memoria della polifonia in lingua occitana. Ma Les Mécanos lo fanno vestiti da operai con la loro brava tuta blu, in un originale connubio di cultura industriale e operaia con una ben più antica tradizione di canto popolare.
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