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La Recensione

“Soundtrack to a Coup d’État”

Un documentario epico che intreccia Jazz, Africa e Guerra fredda

  • 27.03.2025
  • 26 min
  • Franco Fabbri
  • Imago Images
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Presentato all’inizio del 2024 al Sundance Festival, negli Stati Uniti, il documentario del regista belga Johan Grimonprez ha attirato una crescente attenzione verso la fine dello stesso anno, dopo la proiezione in altri festival, fino a ottenere una candidatura come miglior documentario agli Academy Awards del 2025; nel frattempo ha iniziato a circolare in altre rassegne, anche in Europa (e in Svizzera: a Zurigo, a Basilea), e da poco è approdato sulle piattaforme di streaming. Da qualche giorno è visibile su Prime. Quasi tutte le recensioni sono entusiastiche, e molte suggeriscono che sia proiettato nelle scuole: il che, per un film che dura due ore e mezza, costituisce una sfida eccezionale. Come mai? Grimonprez ha messo insieme una grande quantità di documenti visti molto raramente in precedenza, che risalgono a un’epoca di grandi tensioni internazionali, rispetto alle quali anche il nostro presente appare in una luce diversa. Si tratta di uno dei periodi più duri della guerra fredda, culminato con la crisi dei missili a Cuba, e che coincide con la fase più intensa del processo di decolonizzazione che investì soprattutto l’Africa, con il raggiungimento dell’indipendenza da parte di molte ex-colonie. Patrice Lumumba, leader dell’indipendenza del Congo, e Kwame Nkrumah, del Ghana, promotore di un’ipotetica fondazione degli Stati Uniti dell’Africa, e Nasser, e Nehru, con gli altri esponenti del movimento dei paesi non allineati, compaiono nel documentario, alternando le loro voci con quelle dei leader delle potenze occidentali e di quelle del blocco contrapposto, con una forte evidenza di Nikita Chruščëv (noi scrivevamo Krusciov), ripreso nelle tumultuose riunioni dell’Assemblea dell’ONU, inclusa quella in cui si tolse una scarpa e la batté sul banco, attirando l’attenzione del mondo intero. In quelle occasioni si parlava molto dell’Africa, e delle mosse di alcune potenze e di importanti società minerarie per frenare l’indipendenza del Congo, e le aspirazioni rivoluzionarie di Lumumba. Il Congo era il paese che aveva fornito agli USA l’uranio necessario per le bombe di Hiroshima e Nagasaki, e ne possedeva ancora circa millecinquecento tonnellate: gli USA non volevano che cadessero in mani sovietiche. Oggi sappiamo (ma lo si sapeva anche allora) che in Congo ci sono grandissimi giacimenti di cobalto, di coltan, e di altri minerali indispensabili per l’elettronica, le batterie delle auto elettriche, eccetera. Grimonprez, nell’affrontare un tema così delicato, ha un’idea geniale. Intreccia quella storia con quella del jazz, negli stessi anni, partendo da due aspetti altrettanto importanti: 1. l’uso del jazz, da parte degli USA, come ambasciatore della cultura statunitense, inviando jazzisti noti in giro per il mondo (a cominciare da Louis Armstrong, spedito in Congo proprio in quel periodo), e 2. la funzione del jazz nelle lotte per i diritti civili degli africano-americani, e nella loro solidarietà con i popoli dell’Africa. Con un accorgimento suggestivo, quello di impaginare le sequenze di jazz con la grafica delle copertine della Blue Note di quel periodo, il regista costruisce la sua affascinante colonna sonora per un colpo di stato (come nel titolo), raccontandoci anche con la musica una storia che quasi riesce a far impallidire le follie attuali della politica internazionale.   

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