Un allarmante articolo sullo stato del giornalismo musicale è apparso recentemente a firma di Ted Gioia, un musicista e scrittore statunitense autore di numerosi saggi, fra i quali Musica, una storia sovversiva. Oltre che curatore di un giornale online intitolato The honest broker.
Fioccano infatti i licenziamenti in questo ambito, non solo fra i critici e recensori, ma anche sulle piattaforme di streaming come Soundcloud, Spotify, Tidal, Amazon Music, Universal music e molti altri.
Intanto la notizia che Pitchfork (rivista faro della musica indipendente) sarà inglobata dentro il mensile GQ, ha lasciato attoniti moltissimi appassionati in tutto il mondo.
Se la crisi del settore è probabilmente sorta con l’aumento del cosiddetto ascolto passivo, è certo che di critici musicali c’era più bisogno quando i dischi si compravano ancora, quando prima di spendere si leggevano le recensioni per conoscere l’opinione di chi ne sa più di noi.
Affidarsi alla musica di qualità e non a chi ne ha fatto un mero business sarebbe la possibile soluzione?
Quale il confronto con il giornalismo musicale rivolto a musica classica e jazz?
Patricia Barbetti e Giovanni Conti ne parlano con Luca Conti, giornalista direttore della rivista italiana Musica Jazz e con Marta Tripodi, giornalista musicale esperta di cultura rap e hip hop.
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