Tutto iniziò l’11 settembre 2001 con gli attentati contro le torri gemelle a New York. Nemmeno un mese dopo, il presidente statunitense George W. Bush, dava inizio all’intervento armato in Afghanistan ritenuto il “santuario” di Al Qaeda. Dieci anni, orsono, dopo una lunga caccia, il suo leader Osama Bin Laden, venne ucciso nel corso di un’incursione statunitense in Pakistan. Lo scorso 1 maggio, infine, è iniziato ufficialmente il ritiro delle truppe USA e NATO, che il presidente Joe Biden vorrebbe concludere l’11 settembre in concomitanza con i 20 anni degli attentati negli Stati Uniti.
A fare da sfondo le grandi incertezze sul piano della sicurezza che continuano a porsi nei confronti di Kabul e che accompagnano il disimpegno militare occidentale. All’orizzonte non pochi osservatori intravvedono un paese nuovamente nelle mani dei fondamentalisti talebani che già oggi controllano la metà del suo territorio, anche se non i principali centri urbani, e che oggi boicottano il processo di pace imbastito da Washington per disegnare il futuro del paese.
Quanto è solida questa prospettiva? Quanto è alto il rischio che l’Afghanistan torni ad essere un santuario del jihadismo. Cosa significa questa perenne instabilità per la popolazione locale? E infine, il ritiro incondizionato degli Stati Uniti deve essere compreso come una cocente sconfitta?
Ne discutiamo con:
Giuliano Battiston, giornalista e ricercatore, esperto di Afghanistan;
Rebecca Gasparri, Food project and Grant manager di Emergency, rientrata da poco dall’Afghanistan;
Riccardo Redaelli, Professore di geopolitica e di storia e istituzioni dell'Asia, all’Università Cattolica di Milano.
Modem su Rete Uno alle 8.20, in replica su Rete Due alle 19.25. Ci trovate anche sul Podcast e sulle app: RSINews e RSIPlay
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