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Butta o ripara

L’obsolescenza programmata tra consumismo, spreco e problemi ambientali

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  • 13.12.2016
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Quando l’offerta ha cominciato a superare la domanda, si è cominciato anche ad accumulare beni e prodotti rimasti invenduti. E il conseguente paradosso della produzione di massa si è immediatamente palesato: per produrre di più, il prodotto deve durare poco, non deve essere riparato ma sostituito.

Nasce così il concetto di “obsolescenza programmata”: il produttore decide già al momento della progettazione di nuovi apparecchi quanto dovrà durare. Soprattutto oggetti tecnologici, elettrodomestici per la casa, televisori, computer, telefonini, e via discorrendo… È un mercato dopato: la concorrenza spinge i prezzi al ribasso, i guadagni diminuiscono e per mantenere alto il tasso di crescita e di profitto, bisogna vendere di più ma con minor qualità e durata.

Si dirà che è una necessità del mercato: maggiori consumi generano maggiori benefici economici per tutti. Il denaro deve girare per creare posti di lavoro, benessere. Ma poi, ci si ritrova con montagne di rifiuti spesso difficili da smaltire, materie prime saccheggiate e sprecate, costi ambientali a carico di tutta la società.

Obsoleto, fuorimoda, inutilizzabile: sono parole d’ordine quasi quotidiane. In attesa che la cosiddetta “produzione durabile” possa prendere il sopravvento nella cultura economica e industriale; in attesa che (come per la protezione dell’acqua, dell’aria e del suolo) il cittadino e il legislatore trovi regole condivise per evitare inutili sprechi.

Modem ne discute con:
Marco Bianchi, titolare di un’azienda di elettrodomestici, partecipa ai Caffè riparazione dell’ACSI
Antoine Casabianca, presidente ACSI, Associazione consumatrici e consumatori della CH italiana
Fabio Iraldo, economista, docente di management alla Scuola universitaria superiore Sant’Anna di Pisa e di economia ambientale all’Università Bocconi di Milano
Daniel Zulliger, capo dell’Ufficio dei rifiuti e dei siti inquinati del Dipartimento del territorio Ticino del Canton

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