Sono trascorsi 100 anni dall’inizio del massacro di un milione e mezzo di cristiani armeni, avvenuto tra 1915 e 1916, da parte del governo dei “Giovani turchi” negli ultimi anni dell’Impero ottomano. Un centenario che sarà commemorato venerdì 24 aprile a Erevan, capitale dell’Armenia, alla presenza di una ventina di capi di Stato e di governo.
L’infinita questione del riconoscimento del genocidio, ostacolato dalla Turchia, ha creato molte tensioni; tensioni che si sono riaccese una decina di giorni fa in seguito alle dichiarazioni di papa Francesco I. Il Vaticano, come una ventina di altri Stati, lo ha infatti riconosciuto suscitando la reazione di Ankara, che dopo queste parole definite “immorali” ha avanzato la tesi del complotto internazionale e ha richiamato il suo ambasciatore dalla Santa Sede. La Turchia, che ammette il massacro ma nega il genocidio, potrebbe però doversi confrontare con altre crisi diplomatiche e più pesanti riconoscimenti, soprattutto da Berlino e da Washington.
Per il governo di Tayyip Erdogan, ridurre tutto a una sola parola e addossare ogni responsabilità alla Turchia pone un problema sia dal punto di vista legale che etico. È veramente una questione terminologica? Cos’è successo in quegli anni e quali erano le intenzioni del governo dei Giovani turchi? Come procedere poi di fronte alla rivendicazione di altri genocidi come quello del popolo Siriaco e dei greci del Ponto, perpetrati dalla Turchia negli stessi anni?
Modem ne parla con: Carlo Frappi, ricercatore all’Università Ca' Foscari di Venezia, e all’ISPI; Simone Zoppellaro, corrispondente da Erevan per l’Osservatorio Balcani e Caucaso; Ludwig Naroyan, portavoce della Comunità armena in Ticino.
Scopri la serie
https://www.rsi.ch/s/703681