I “Pentagon Papers” fecero cadere Richard Nixon. I “Panama Papers” inguaiano invece una moltitudine di società, personaggi famosi, politici e re. Tutti con conti offshore, fuori casa, non necessariamente in nero. Ma la gran parte odora di evasione fiscale e riciclaggio.
Fondi neri immensi, una sorta di economia parallela di migliaia di miliardi non dichiarati, provento di affari poco chiari o malavitosi. Un potere finanziario che diventa anche politico, quando prevarica gli stati sovrani, quando si sovrappone alle scelte democratiche. Per Alain Deneault, è un vero e proprio “trasferimento di sovranità” verso poli di decisione occulta.
Nel lungo elenco, di oltre 40 anni, dei conti della società “Mossack Fondeca”, la quarta al mondo per gestione patrimoniale, ci sono Vladimir Putin (o meglio: il suo violoncellista amico e prestanome); il se saudita Salman, Michel Platini, Leo Messi. Ci sono politici, primi ministri, attori, banchieri, imprenditori. Molti casi non sono nemmeno illegali, solo moralmente deplorevoli.
Sollevano profonde questioni etiche, di giustizia fiscale, di cui sono vittime soprattutto i paesi più poveri. Questa enorme elusione fiscale crea svantaggi competitivi per le piccole e medie imprese, priva le casse degli stati di fondamentali risorse e colpisce le fasce più basse di reddito, private di beni e servizi di base per i cittadini.
Modem ne parla con:
Ernesto Savona, direttore incaricato di Transcrime docente di criminologia e sociologia all'Università Cattolica di Milano,;
Vittorio Malagutti, del settimanale “L’Espresso”, uno dei giornalisti italiani che ha partecipato all’inchiesta;
Giovanni Molo, avvocato, esperto di diritto commerciale e bancario;
Marzio Minoli, giornalista economico, nostro corrispondente a Zurigo.
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