“Giù le mani dalla Serbia”, è con questo slogan che il presidente Aleksandar Vucic ha lanciato nel fine settimana una sua nuova formazione politica. Una mossa voluta anche per dare un segnale alle piazze del Paese, che da cinque mesi protestano contro il suo governo, accusato di corruzione e di mancato rispetto delle regole democratiche. Un tentativo di rinnovamento, perlomeno nell’immagine, che venerdì prossimo culminerà nella nascita di un nuovo esecutivo. Guidate dagli studenti universitari, le manifestazioni di protesta però non si placano e continuano a rappresentare una sfida per il presidente Vucic, in carica ormai da 12 anni. Un braccio di ferro con ripercussioni regionali, in particolare in Bosnia e in Kosovo, per un Paese che continua a poter contare sul sostegno dell’Unione europea, della Russia e della Cina. E questo anche perché in Serbia si è ormai aperta la corsa al litio, un minerale fondamentale per le batterie elettriche e per la transizione energetica. Cosa sta capitando in Serbia? Su quali carte può ancora contare la protesta delle piazze, iniziata ormai cinque mesi fa? E quale il ruolo delle grandi potenze in questo Paese e in questa regione, a 30 anni dalla fine della guerra ex-jugoslava? Argomenti e interrogativi che discuteremo con:
Milovan Pisarri, docente presso l’Istituto di filosofia di Belgrado e specializzato in storia contemporanea
Nenad Stojanovic, politologo e docente all’Università di Ginevra
Giovanni Vale, collaboratore RSI dai Balcani
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