34 morti, tra i quali 2 bambini e oltre un centinaio di feriti. L’attacco russo di domenica mattina a Sumy, nel nord-est dell’Ucraina ha suscitato reazioni di sdegno e condanna a livello internazionale. Scioccante, per il numero di perdite tra i civili, non è che l’ultimo di una serie, che ha visto le forze russe colpire la popolazione ucraina. Solo una decina di giorni fa, il 4 aprile, un missile balistico russo aveva colpito un parco giochi a Kryvyi Rih, nell’Ucraina centrale, uccidendo 19 civili, tra cui nove bambini.
Un attacco, quello di Sumy, che ci riporta a parlare della guerra in Ucraina. L’ultima volta che ci eravamo occupati del conflitto – un mese fa - si discuteva dell’ipotesi se non di pace, almeno di una tregua.
Eppure la promessa pre-elettorale di Donald Trump di porre fine alla guerra in tempi rapidi sembra sempre più lontana dalla realtà dei fatti.
Ma c’è davvero da stupirsi dell’azione russa? Russia, che nel caso di Sumy afferma di aver preso di mira una riunione di ufficiali ucraini, e che “60 militari” sono stati uccisi? E quale sarà la risposta – se ci sarà, al di là delle parole - degli alleati dell’Ucraina? Cosa dire della posizione ambigua degli Stati Uniti, che prima hanno condannato l’attacco di Sumy – con Keith Kellogg, l’inviato speciale per la Russia e l’Ucraina, che ha parlato di superamento dei limiti della decenza – salvo poi definire l’azione russa “un errore”, per citare lo stesso Donald Trump?
Ne parliamo con:
Antonio Missiroli, docente di sicurezza europea a Sciences Po Parigi e già alto funzionario UE e NATO
Cristiano Tinazzi, giornalista freelance
Pierre Ograbek, inviato RSI in Ucraina
Nona Mikhelidze, analista Istituto Affari Internazionali Roma
Scopri la serie
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