EURO 2024 - DALL’INVIATO

Il pallone del “Miracolo di Berna” vive assieme alla scarpa di Götze

Dortmund non strega, ma quante perle celate nel Deutsches Fussballmuseum

  • 26 giugno, 15:54
  • 26 giugno, 16:00
Pallone Miracolo di Berna

Oggetto di culto

  • rsi.ch
Di: Nicola Rezzonico

Mettiamola così: dal punto di vista squisitamente estetico, non è che Dortmund ti lasci col fiato sospeso. No, non ti scalda propriamente il cuore (a quello, semmai, possono pensarci le temperature di questi giorni). Alcuni, addirittura, la collocano senza indugio sul poco lusinghiero podio delle “più brutte di Germania”. Di certo, per quanto geograficamente vicine, Colonia e Düsseldorf paiono… lontane mille miglia, ecco. Cosa salvare, allora? Beh, la componente calcistica. Il Borussia e il suo maestoso tempio (che impressione dal vivo…) non necessitano di presentazioni, lo sappiamo, ma c’è dell’altro. C’è un museo, IL museo per antonomasia, che dall’ottobre 2015 convoglia milioni di appassionati. E noi, al Deutsches Fussballmuseum - il museo nazionale dedicato al calcio tedesco, per l’appunto - abbiamo fatto una capatina, in cerca di chicche che ci facessero sussultare.

Bastava compiere pochi passi, in realtà. Sì, perché soltanto la prima attrazione giustifica appieno i 24 euro spesi per il biglietto. Davanti agli occhi del visitatore, infatti, si pone subito un pezzo di storia: il pallone che rotolava sul terreno del Wankdorf quel leggendario 4 luglio 1954, quando (sotto il diluvio) l’imponderabile prese forma nel cosiddetto “Miracolo di Berna”. Quando, giusto per rinfrescare la memoria, la favoritissima armata ungherese cadde sotto i colpi della Germania Ovest (anche se l’ombra doping non è mai stata scacciata), consegnandole inopinatamente il primo titolo mondiale. L’evento, come noto, ebbe un forte impatto sociale sul Paese (a soli cinque anni dalla dichiarazione d’indipendenza dei due blocchi), ed è tuttora avvolto da una fitta aura di epicità. Chiedete a un tedesco qualunque cos’è il Wankdorf: una buona parte non vi deluderà, per dire. E se lo fate in un giorno grigiastro, magari al vostro interlocutore non dispiacerà estrarre dal cilindro l’espressione “Fritz-Walter-Wetter”, con la quale - omaggiando il capitano di quella squadra, propenso a giocare in tali condizioni - si indica proprio tempo piovoso.

Da lì in poi, sostanzialmente, ce n’è per tutti i gusti. Maglie, tante maglie (nella moltitudine spicca la 10 di Maradona, proveniente dalla finale - persa - di Italia ‘90). Scarpe, diverse scarpe (la più fotografata? La sinistra con cui Götze pugnalò l’Argentina nel 2014). Trofei, quanti trofei: Champions League, Coppa del Mondo, Meisterschale, così per fare tre nomi… da poco. Ma in quei quattro piani disseminati di ricordi vi è posto ugualmente per curiosità meno “mainstream”: il dischetto (sì, la zolla si presenta perfettamente conservata!) sul quale Brehme appoggiò la palla decisiva per le sorti del citato Mondiale italiano; i foglietti impiegati da Löw per guidare i suoi nella trionfale cavalcata brasiliana; un palo di legno… spezzato. Si impara allora che solo dopo l’eclatante episodio di un Gladbach-Werder Brema targato 1971 (la porta collassò, e nessuno seppe come ripararla: padroni di casa sconfitti a tavolino) avvenne la svolta. Legno abolito, spazio all’alluminio. Insomma, a ben guardare Dortmund può avere il suo fascino. Speriamo di avervi convinto. Ah… dimenticavamo. Prima di uscire, lo sguardo indugia su un volto familiare. Lì, dentro la teca “coronavirus”. Che il primo a segnare negli stadi vuoti possa ripetersi sabato? Guardate qua sotto.

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