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Boy - Roald Dahl

Quando leggiamo Roald Dahl diventiamo grandi restando bambini

  • 29.04.2023
  • 4 min
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Questa non è un’autobiografia. Afferma lo stesso Roald Dahl nella prefazione del suo libro intitolato Boy (titolo dall’originale inglese: Boy. Tales of Childhood), scritto nel 1984 all’età di 68 anni e pubblicato in traduzione italiana nel 1994 da Salani (traduzione italiana di Donatella Ziliotto). Vi starete chiedendo: come mai questa non è un’autobiografia? L’autore ne spiega subito il motivo: Un’autobiografia è quel libro che si scrive per raccontare la propria vita e che generalmente è zeppo di ogni specie di particolari noiosi.

Mi chiamo Marica Iannuzzi e oggi vorrei parlarvi di questa particolare (non) autobiografia.

Boy è rivolto al pubblico più giovane ed è corredato da lettere autografe, fotografie e illustrazioni di Quentin Blake, fedele illustratore dei libri di Roald Dahl. Gli avvenimenti narrati si svolgono in Inghilterra e in Norvegia all’inizio del ‘900 e ricoprono l’arco di vita dai 6 ai 20 anni di questo straordinario autore.

Roald Dahl, scrittore di romanzi e racconti e anche regista, è un pilastro della letteratura per ragazzi e padre di numerosissimi personaggi ancora oggi celebri. La sua vita è segnata da continue sofferenze: malattie che gli portano via prematuramente moglie e figli e un gravissimo incidente aereo durante la Seconda guerra mondiale. Da difficoltà, troppo ingiuste, e dagli adulti, troppo seri secondo lui, decide di scrivere per i bambini, l’unico modo per divertire anche sé stesso.

Boy di Roald Dahl è la sua (non) autobiografia, la selezione di ricordi con cui quest’autore ci dimostra che le esperienze, positive o negative, possono sempre essere trasformate in qualcosa di utile per noi e per gli altri e trasformabili anche… in libri. Non a caso nelle sue storie lui impasta con leggerezza e profondità i personaggi che ha incontrato nella vita e che noi incontriamo in queste sue pagine. Facciamo qualche esempio: dalla sorvegliante della scuola viene alla luce la terribile signorina Spezzindue del romanzo Matilde; dagli sporadici regali in collegio arriva l’ispirazione per scrivere La fabbrica di cioccolato; dalla proprietaria del negozio di dolci che il piccolo Dahl aveva sul tragitto casa-scuola prende vita la nonna del protagonista de La magica medicina. Nell’ultimo capitolo l’autore comincia a parlare del Dahl adulto, uomo d’affari a Londra, definendosi felice, veramente felice (p. 183). Con il suo solito umorismo considera questa vita semplice se confrontata con quella di uno scrittore che è un vero inferno, perché deve forzarsi a lavorare, deve imporsi un orario, deve trovare continuamente nuove idee (p. 183). Secondo lui bisogna essere pazzi, per fare gli scrittori. La loro sola compensazione è un’assoluta libertà. Il loro unico padrone è la loro anima ed è per questo che hanno fatto quella scelta, lui ne è certo (p. 183).

E io sono certa che per immaginare, creare, raccontare come questo scrittore bisogna essere geniali, non pazzi. Bisogna diventare grandi restando bambini. Ed è proprio quello che ci accade quando leggiamo Roald Dahl: diventiamo grandi restando bambini. Perché le sue storie riescono a incantarci a ogni età e a trasformare ingiustizie e difficoltà.

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