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Fine pena: ora - Elvio Fassone

Siamo posti di fronte alla storia di un uomo che cerca disperatamente e sinceramente una redenzione, ma a cui il sistema e noi ci dimostriamo ciechi, incapaci di vedere e riconoscere l’umano.

  • 28.01.2023
  • 4 min
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Qualche volta (…) mi pigliano in giro, mi chiamano professore (…). Ma io li lascio dire gli piace sporcare le cose. Io lo so che sono ignorante, ma così lo sono di meno. Lei mi ha fatto capire dove sono le cose buone, e capire le cose mi piace.

Ciao, sono Marta Pizzagalli e oggi vi parlo di Fine pena: ora, libro di Elvio Fassone, pubblicato nel 2015 da Sellerio. Elvio Fassone è stato magistrato del Co nsiglio superiore della magistratura e Senatore della Repubblica. Nel 1985 incontra il giovane Salvatore: è un capo della mafia di Catania, per cui in quell’anno si apre un maxi processo a Torino. Elvio è il giudice del processo, al termine del quale Salvatore verrà condannato all’ergastolo. Nonostante ciò, dopo il processo, tra i due si instaura un lungo rapporto epistolare, che continuerà fino alla morte in carcere di Salvatore, avvenuta dopo ventisei anni di prigione. Il libro tesse la storia di questo scambio e del rapporto impensabile nato fra un giudice – il “presidente”, come lo chiama Salvatore – e un ergastolano. Si racconta il travagliato viaggiare di Salvatore da un carcere d’Italia a un altro, il suo studio per ottenere la licenza elementare, poi di terza media, il suo lavoro continuo in cooperative, come giardiniere, come pasticciere; e i tentativi falliti di ottenere la semilibertà.

Fine pena: ora, di Elvio Fassone, è diviso in 55 brevi capitoli ciascuno con un titolo indicativo del tema raccontato, e termina con un’inaspettata appendice, di cui vi parlerò meglio fra un istante. Nelle pagine, Fassone mostra una grande abilità scrittoria combinata a un’acuta sensibilità umana. Egli è infaticabile nel riflettere sulla giustizia del sistema giudiziario, e si interroga profondamente sulla sua effettiva efficacia. Come affermarla, del resto, difronte alla prova concreta del fatto che il sistema sta in realtà impedendo a un uomo di re-inserirsi nella società, dopo il percorso di ri-educazione intrapreso? Come non considerare ciò un fallimento? Le domande e questioni che Fassone si pone interrogano chiunque: parla della libertà, della speranza, della colpa, dell’amore, della ragione per vivere, di Dio, della disperazione, dell’educazione, della responsabilità dell’individuo e di quella della società.

Leggendo, ho percepito tutta la drammaticità del “fine pena: mai”: siamo infatti posti di fronte alla storia di un uomo che cerca disperatamente e sinceramente una redenzione, ma a cui il sistema e la società (e dunque noi!) ci dimostriamo ciechi, incapaci di vedere e riconoscere l’umano.

Il racconto non è fine a sé stesso: questa storia viene narrata perché si vogliono cambiare le cose. Ciò si mostra nell’appendice, ove Fassone spiega e propone degli atti concreti che si possono fare per cambiare la situazione giudiziaria. Propone scelte, leggi, riforme e vie attuabili. L’amarezza che la testimonianza di Salvatore lascia insinua così la speranza e il desiderio che Salvatore non abbia sofferto invano, che possa essere il martire che fa progredire e muovere la macchina giudiziale.

Il libro è struggente e mi ha colpita per la drammaticità e attualità della vicenda raccontata: nella storia di Salvatore, sono le regole e le procedure applicate troppo rigidamente e senza tener conto del fattore umano lì presente a causare la “dannazione” di un individuo.

Il peccatore che piange fino alla morte per i suoi mali non meriterà mai il perdono? Non colmerà mai il vuoto che ha creato con il suo male? Quelle lacrime che non compensano possono però fare qualcosa? È possibile ricominciare?

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