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Camera d’eco

Il nome della rosa - Umberto Eco

Un romanzo che può essere letto da chiunque, a prescindere dall’interesse e dalla conoscenza del mondo monastico medievale

  • 29.04.2023
  • 3 min
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Esistono libri che chiunque, anche il meno appassionato dei lettori, conosce. Titoli che risuonano come noti e celebri nelle orecchie di ognuno di noi. È il caso de Il nome della rosa di Umberto Eco, pubblicato per la prima volta da Bompiani nel 1980.

Mi chiamo Coralie, studio letteratura italiana, e oggi vi parlerò di questo geniale romanzo, vincitore del premio Strega e tradotto in più di 40 lingue.

L’autore, Umberto Eco, non ha bisogno di lunghe presentazioni; oltre a pubblicare saggi e romanzi, è stato professore universitario e direttore editoriale della casa editrice Bompiani. I suoi studi riguardano ambiti diversi: la cultura di massa, la semiotica, ma anche il Medioevo.

Ecco quindi che non deve stupirci, e nemmeno spaventarci, l’ambientazione medievale del romanzo. In una nota di commento all’opera l’autore stesso dichiara di avere inizialmente pensato a rendere contemporanea la vicenda, ma alla fine ha cambiato idea fortunatamente.

La storia è ambientata in un’abbazia del Nord Italia e a raccontarla in prima persona è Adso da Melk, giovane novizio al tempo dei fatti narrati e ormai anziano, che viaggia insieme al suo maestro, e protagonista del romanzo, Guglielmo da Baskerville.

La storia inizia con l’arrivo di frate Guglielmo e Adso presso un monastero benedettino, dove si sono recati per partecipare a un incontro che vedrà due gruppi di religiosi confrontarsi in merito alla questione della povertà della Chiesa. La vicenda religiosa però, pur rimanendo presente, passa in secondo piano quando la quiete dell’abbazia inizia a essere turbata da una serie di misteriose morti, che sembrano essere collegate a un manoscritto segreto, custodito nella biblioteca dell’abbazia e poi scomparso. Guglielmo viene incaricato di indagare sulla vicenda, il suo personaggio è sicuramente uno dei più interessanti: brillante e acuto, capace di giugnere a conclusioni degne delle indagini dei detective protagonisti delle serie TV, condisce le sue ricerche con riflessioni filosofiche e perle di saggezza. Adso è il perfetto co-protagonista, goffo e impacciato sa essere, al momento opportuno, un aiuto prezioso (spesso senza saperlo, ma ciò che conta è il risultato).

La vicenda si sviluppa in sette giorni, a loro volta divisi seguendo i ritmi della vita monastica, la trama alterna indagini, riflessioni teologiche e il racconto dell’incontro tra le due delegazioni. Certo quest’ultima parte può sembrare poco interessante, ma fidatevi dell’acuta penna di Eco, capace di rendere divertenti e piacevoli anche questi passaggi.

Un grande pregio di questo romanzo è il fatto che possa essere letto da chiunque, a prescindere dall’interesse e dalla conoscenza del mondo monastico medievale, che è piuttosto un vivace sottofondo che si lascia cogliere da ciascuno in modo differente. Gli “addetti ai lavori” potranno apprezzare i riferimenti culturali, teologici e storici (oltre alle citazioni in latino), un lettore curioso si farà invece catturare dall’avvincente trama legata al mistero delle morti e del manoscritto.

Eco stesso, parlando del suo romanzo, ha dichiarato che non spetta all’autore decidere quale sia la giusta chiave di lettura, questo è un compito del lettore.

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