Un uomo apre con trepidazione una busta che contiene l’atteso referto medico. Legge che il risultato è negativo, ma non riesce a capire se esserne sollevato o se è il caso di preoccuparsi.
Una ragazza a un colloquio di lavoro tende la mano e si presenta come Rossi Maria; il selezionatore fa una smorfia come se avesse addentato un limone.
Sono piccoli disagi che possono capitare a ognuno di noi e che hanno a che fare con la lingua madre, che tendiamo a dare per scontata e ormai acquisita.
Mi chiamo Giuliana Santoro, sono una dottoranda in Linguistica italiana all’università di Basilea, e quello che avete appena sentito è l’incipit del libro “Potere alle parole. Perché usarle meglio” di Vera Gheno, Einaudi editore, un saggio di educazione alla cura della lingua (in questo caso l’italiano), il primo strumento che abbiamo in dotazione per relazionarci nel mondo.
Partendo dall’osservazione che la società in cui viviamo ci mette continuamente di fronte a situazioni che richiedono di usare la lingua e di usarla bene, Vera Gheno, sociolinguista specializzata in comunicazione digitale e traduttrice dall’ungherese, per vent’anni collaboratrice dell’Accademia della Crusca, ci guida per mano in un viaggio alla riscoperta delle innumerevoli possibilità che l’italiano offre ai suoi parlanti, aiutandoci a comprendere che la vera libertà di una persona passa dalla conquista delle parole.
“Ognuno di noi è le parole che sceglie: conoscerne il significato e saperle usare nel modo giusto e al momento giusto ci dà un potere enorme” chiosa l’autrice.
La qualità della lingua di un popolo dipende dai suoi parlanti e dunque ognuno di noi ha in mano le redini del proprio idioma e, allo stesso tempo, la responsabilità di curarlo, perfezionando la conoscenza delle sue forme e dei suoi meccanismi.
Che cosa penseremmo del proprietario di una Maserati che la lasciasse sempre parcheggiata in garage pur avendo la patente o di una persona che pur possedendo un enorme armadio di vestiti bellissimi indossasse sempre lo stesso completo? Queste situazioni atipiche – ricorda Vera Gheno nel libro “Potere alle parole” – fanno pensare all’atteggiamento di tante persone nei confronti della propria lingua: pur avendo accesso a un patrimonio immenso e inestimabile ne usano, per pigrizia, imperizia o comodità una piccola parte.
La democrazia ha bisogno di persone che capiscano ciò che succede intorno a loro, non di succubi pronti a farsi incantare da un prestigiatore che seleziona le parole per parlare alla pancia invece che alla testa di chi lo ascolta. Padroneggiare gli strumenti linguistici significa spostarsi agilmente tra i registri scegliendo quello di volta in volta più consono alla situazione in cui ci si trova; significa essere in grado di relazionarsi con ogni tipo di interlocutore, vale a dire saper conversare con gli amici al bar ma allo stesso tempo tenere una presentazione formale in un’azienda o al cospetto di un consiglio comunale. Se ognuno di noi è in possesso, come in effetti è, di uno Stradivari, vale la pena di fare lo sforzo – ci esorta l’autrice- di imparare a suonare decentemente il nostro strumento, diventando ogni giorno più competenti per affrontare le sfide della società della comunicazione. Questa pulsione, questa spinta ad interrogarsi sulle parole che ogni giorno scegliamo, consapevolmente o meno, per raccontarci e raccontare è a mio parere l’aspetto più avvincente del libro, quello che mi ha incatenato alle sue pagine e che mi porta a riaprirle pagine ogni qualvolta la lingua s’inceppa o la rigidità di una grammarnazi si impossessa di me.
Perché allora leggere questo libro:
Motivo numero 1: per riscoprire la bellezza del contegno linguistico e della gentilezza nei confronti degli altri: questo significa parlare e scrivere al meglio delle proprie possibilità,
Numero 2: per capire che nella lingua la norma alla fine corrisponde a ciò che viene percepito come giusto in uno specifico momento storico e sociale
Numero 3: per imparare ad amare e a curare di più la lingua attraverso la quale, ogni giorno, raccontiamo agli altri chi siamo.
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