“In dialogo con il Benin. Arte, Colonialismo e Restituzione” è il titolo della mostra in corso al Museo Rietberg di Zurigo. Un’occasione per il programma “Voci dipinte” per discutere dell’importanza di cambiare passo e ragionare sulla valorizzazione e sulla restituzione del patrimonio artistico africano razziato e portato in Europa in epoca coloniale. La mostra rimane aperta fino al 16 febbraio 2025.
Il patrimonio africano non può trovarsi solo nelle collezioni private e nei musei europei. Deve poter essere valorizzato a Parigi, ma anche a Dakar, Lagos, Cotonou. Voglio che ci siano le condizioni perché il patrimonio africano torni in Africa.
Sono alcune delle parole pronunciate dal presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron il 28 novembre 2017, in Burkina Faso, davanti a 800 studenti universitari, il suo storico discorso ha significato una svolta epocale nel difficile processo di decolonizzazione dei musei europei.
Voci dipinte, che da anni segue questo controverso dibattito, è tornata a parlarne in occasione dell’apertura della mostra al Museo Rietberg di Zurigo, che consente di vedere da vicino come la Svizzera stia affrontando questo tema in dialogo con un Paese dell’Africa occidentale.
La mostra, dal titolo In dialogo con il Benin. Arte, Colonialismo e Restituzione si inserisce nel più ampio contesto dell’Iniziativa Benin Svizzera portata avanti dal Museum Rietberg insieme ad altri musei elvetici, come il Landesmuseum di Zurigo.
Come gestire oggi opere e oggetti legati alla drammatica storia del colonialismo? Cristiana Coletti lo ha chiesto alle tre ospiti: Esther Tisa Francini, direttrice del dipartimento per la ricerca sulla provenienza del Museum Rietberg e co-curatrice della mostra; Solange Mbanefo, architetta e co-curatrice della mostra e a Giulia Grechi, professoressa di antropologia culturale e antropologia dell’arte all’accademia di belle arti di Napoli. Autrice del libro Decolonizzare il museo (Mimesis, 2021).
Maschera, Regno del Benin, Nigeria, Edo, XVII-XVIII secolo, ottone, ferro,
Racconta i contenuti portati dalla mostra la co-curatrice Esther Tisa Francini:
Nella mostra parliamo della lunga storia del regno del Benin che risale al 1100-1300. Dunque sono centinaia di anni di storia che proponiamo con spunti importanti e che arriva ad una cesura con l’arrivo dei britannici. Con l’imposizione di contratti ai popoli del Benin, che poi sono stati conquistati e saccheggiati. La città è stata distrutta e migliaia di opere prestigiose – sculture di avorio, figure commemorative, tantissime piastre di rilievo in bronzo – sono state saccheggiate e portate in Europa nel 1897. Dunque un’invasione quasi senza paragone. Opere d’arte rubate e vendute sul mercato dell’arte
La mostra nasce nel contesto dell’iniziativa Benin-Svizzera. Esther Tisa Francini ne spiega gli intenti:
«Abbiamo creato questa iniziativa Benin-Svizzera al Museo Rietberg, invitando altri sette musei pubblici in Svizzera da Ginevra a San Gallo, Basilea, Berna. Musei che hanno nella loro collezione delle opere del Regno del Benin e abbiamo deciso di fare un progetto insieme. Innanzitutto per indagare sulla provenienza di queste collezioni. Si tratta all’incirca di 100 opere, sulle quali abbiamo ricercato per capire quali provengono da questo saccheggio del 1897. Questo progetto è finanziato, dal 2021, dall’Ufficio federale della cultura di Berna. Fin dall’inizio siamo entrati in dialogo con dei partner, storici e storici dell’arte, colleghi dei musei del Benin».
Retro di maschera,, Regno di Benin, Nigeria, Edo, XVII-XVIII secolo, ottone, ferro
Degno di nota è il concept, l’idea che sta dietro l’allestimento immersivo e di grande impatto, pensato per essere accessibile ad un vasto pubblico. Lo commenta, al microfono di Cristiana Coletti, Solange Mbanefo, architetta e co-curatrice della mostra, che ha curato l’allestimento:
Attraverso questa mostra invito il pubblico a riflettere criticamente sui sistemi che hanno plasmato la loro percezione dell’arte e della cultura. Non si tratta solo di restituire delle opere, ma di cambiare radicalmente il modo in cui comprendiamo e rispettiamo le diverse narrazioni storiche. Alla fine ho utilizzato il design per decolonizzare le aspettative. Ho provato a fare un gioco dove tutti possono entrare in questa esposizione e anche un bambino può chiedersi “cosa c’entra lo schiavismo con me?”
Qui di seguito l’intera edizione di “Voci dipinte” a cura di Cristiana Coletti.
Arte e colonialismo
Voci dipinte 03.11.2024, 10:35
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