Arte e Spettacoli

Della mediocrità di Banksy e la paura di non essere invitati a vernissage

In (libero) dialogo con il critico d’arte Francesco Bonami

  • 29 marzo, 14:07
  • 29 marzo, 16:39
08:25

Francesco Bonami

RSI Cliché 25.03.2025, 09:00

  • RSI
Di: Anna Mezzasalma 

Dolcevita nero, occhiali da vista tondi, barbetta bianca. Secondo il cliché questo è l’aspetto dell’intellettuale, meglio ancora, del critico d’arte contemporanea. Ed è proprio così che si presenta Francesco Bonami, tra i più famosi e importanti curatori e critici d’arte a livello internazionale, ma appena apre bocca, interpellato sul tema della “libertà” nel programma Cliché, appunto, le carte si sparigliano.

“Nell’arte contemporanea c’è forse troppa libertà – sostiene – nel senso che si può fare talmente tanto tutto che diventa quasi incomprensibile”. Il rischio, per il critico, è confondere il pubblico al punto che, in un museo, davanti a una cartaccia per terra, ha ormai il dubbio che sia un’opera d’arte, a lui incomprensibile. E il tema non è nuovo all’ex direttore della Biennale di Venezia.

Si crede Picasso o Lo potevo fare anch’io sono i titoli di alcuni dei suoi saggi in cui, con linguaggio divertente e accessibile a tutti, Bonami affronta il mondo artistico di oggi dal punto di vista del suo fruitore, partendo dalla convinzione che “un’opera debba portare oltre la soglia e, per un momento, condurre in un altro mondo – come ha scritto in un intervento su Il Giornale dell’arte. Qualcosa cambia nella mente dopo averla vista, senza aver letto nulla di esplicativo o senza aver sentito spiegazioni da parte di qualcuno, e può fornire prospettive diversa sulla vita”. Un passaggio che oggi difficilmente avviene, perché il valore artistico è fagocitato da quello commerciale e, se il mercato si mangia tutto, anche gli artisti diventano esperti di marketing.

Chi più chi meno, e visto che Bonami non usa giri di parole fa anche il nome del peggiore, in questo senso. Per lui è proprio uno degli artisti più acclamati del panorama attuale: Banksy, “un mediocre artista da strada”, che lavorando in luoghi strategici come la Palestina o l’Irlanda del Nord, fa sua la potenza simbolica di quei luoghi e “diventa artista politico, anche se in realtà oggi non c’è più la possibilità di essere un vero artista di protesta, perché il mercato, appena annusa la capacità di comunicare di un’opera d’arte, la abbraccia e la sfrutta”. Secondo il curatore di retrospettive dei più grandi e discussi artisti contemporanei, da Maurizio Cattelan e Damien Hirst a Jeff Koons e Takashi Murakami, la conseguenza è ovvia: gli artisti beneficiano di questo, tutti gli artisti, anche i mediocri.

Attenzione però a non cadere nell’equivoco dei personalismi. “Si pensa sempre che tutto sia personalizzato, spesso mi chiedono ma ‘ti ha fatto qualcosa di personale?’ assolutamente no – scherza l’autore di Dopotutto non è brutto e L’arte nel cesso –. Se critico un artista lo critico perché penso che l’opera d’arte non sia interessante non perché lui mi sta antipatico: ci sono artisti che mi stanno antipaticissimi che però sono dei grandissimi artisti, anzi la maggior parte degli artisti mi sta antipatica e molti sono molto bravi”.

Se la critica non può andare contro il linguaggio degli artisti si arriva al buonismo, dove “uno ha paura a dire male di Marina Abramovic perché poi… forse non lo fanno più entrare alle inaugurazioni delle mostre”. Ma questo non è certo un problema di Francesco Bonami.

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