Portamento superbo, sguardo magnetico, indole volitiva e immaginazione dirompente, Leonor Fini (1907-1996) è stata una delle figure più originali, affascinanti e misteriose dell’arte del Novecento. Pittrice, illustratrice, scenografa, costumista e performer ante-litteram, dallo stile inconfondibile e difficilmente incasellabile, fu definita da Max Ernst ‒ con cui ebbe una breve relazione ‒ “furia italiana” e “donna di scandalosa eleganza, capriccio e passione”, mentre l’intellettuale André Pieyre de Mandiargues, per il quale Fini illustrò alcune opere, parlava di lei come della “regina di un paese sotterraneo”.
Per molto tempo l’arte di Leonor Fini è stata in parte “oscurata” dalla sua insolita e turbolenta biografia ma, prendendo le distanze da pettegolezzi e facili etichette, vale la pena riscoprire il talento indiscutibile di questa artista, che costellava le sue opere di enigmi e inquietudini, intessendo realtà e fantasia, grottesco e sublime con estro non comune. Di recente un importante contributo alla riscoperta di Leonor Fini è stato offerto dalla Biennale Arte 2022, dove l’artista era tra le protagoniste della mostra principale
Il latte dei sogni. Fino al prossimo 5 novembre, invece, presso il MART di Rovereto è allestita la splendida esposizione
Leonor Fini Fabrizio Clerici – Insomnia, dedicata al lungo e intenso sodalizio tra i due artisti e al comune interesse per i temi del fantastico e della metamorfosi.
“La realtà, il quotidiano, possono rivelare aspetti strani e meravigliosi. Tutto sta a saper guardare le cose con occhi diversi e niente potrà più sembrarci banale o di facile comprensione” affermava Leonor Fini che, con le sue opere popolate di maschere, sfingi, scheletri, esseri ibridi in bilico tra umano e animale, donne-luna, donne-guardiane e innumerevoli gatti, amava destabilizzare e sondare gli anfratti più remoti e misteriosi dell’esistenza. Difatti, la vita di questa carismatica artista fu tutt’altro che banale, già a partire dalla sua infanzia agiata e movimentata.
Leonor Fini, Portrait féminin no. 9 - Ritratto di signora seduta, 1936, The Christian Levett Collection
Nata a Buenos Aires il 30 agosto 1907, da Erminio Fini, argentino di origini italiane, proprietario di alcune haciendas, e Malvina Braun, triestina appartenente all’alta borghesia ebraica, la piccola Leonor Fini è ancora in fasce quando giunge a Trieste con la madre, in fuga dal marito dispotico. Fini cresce dunque con la madre, la nonna e lo zio Ernesto, avvocato e bibliofilo, in un ambiente colto e stimolante, ma anche in un clima di costante tensione, per via dei ripetuti tentativi di rapimento da parte del padre, intenzionato a riportarla in Argentina. Leonor Fini non lo conoscerà mai: per tutta la sua infanzia sarà per lei un’ombra enigmatica e minacciosa, da cui la madre cerca di proteggerla travestendola spesso e volentieri da maschio affinché non venga riconosciuta quando è fuori casa. In molti sostengono che nasca proprio da questa traumatica esperienza la futura ossessione dell’artista per il mascheramento e l’arte del travestimento.
Vivace e intelligente, Lolò (come viene chiamata da amici e famigliari) riempie i quaderni di scuola di schizzi e caricature. “Ho cominciato a disegnare fin da piccolissima. La maggior parte dei bambini verso i nove-dieci anni abbandona il disegno: attenti a ciò che osservano, non si sentono più così sicuri di sé stessi da continuare a disegnare, anch’io osservavo, ma a me la voglia di continuare non è passata”. Ben presto comincia a sperimentare con la pittura realizzando diversi ritratti. Alla soglia dei vent’anni, frequenta il poeta Umberto Saba, il pittore Arturo Nathan, Italo Svevo, Gillo Dorfles e Bobi Bazlen: conoscenze e amicizie che incidono in modo importante nella sua formazione.
Intenzionata a proseguire la carriera artistica, nel 1929 Leonor Fini si trasferisce a Milano, dove esordisce esponendo nella nuova Galleria Milano aperta da Vittorio Emanuele Barbaroux. Sono in molti ad ammirare il carattere misterioso e oscuro ma anche la sottile ironia che pervade le sue tele. Nel capoluogo meneghino, Leonor Fini fa importanti incontri: Carlo Carrà, Gio Ponti (che le commissiona dei disegni per la rivista Domus), Mario Sironi, Giorgio de Chirico, e poi Achille Funi, con cui stringe una relazione sentimentale e grazie al quale scopre l’arte classica e la pittura quattrocentesca.
Leonor Fini, Présence sans issue, 1966
Milano, però, è solo una breve parentesi per Leonor Fini che, oltremodo curiosa e desiderosa di ampliare i propri orizzonti culturali, decide di trasferirsi a Parigi, città che le appare ricca di stimoli e possibilità. Grazie alla conoscenza di diversi artisti italiani operanti nella capitale francese, in particolare Filippo de Pisis, Leonor Fini si inserisce fin da subito nel milieu artistico della capitale francese. In questo periodo, la sua pittura inizia a evolvere: la palette diventa più chiara, i contorni più morbidi, alla verosimiglianza si sostituisce un’inventiva più libera. Al celebre caffè Les Deux Magots, nel quartiere di Saint-Germain-des-Prés, Leonor Fini conosce Christian Dior, che le propone di esporre nella Galerie Jacques Bonjean da lui diretta. Ed è proprio Dior a presentarle la stilista Elsa Schiaparelli, con cui Fini stringerà una proficua amicizia: Schiaparelli le offre i vistosi abiti con i quali si fa notare negli ambienti colti e raffinati della Parigi anni Trenta; dal canto suo, Fini disegna l’iconica boccetta per il profumo Shocking di Schiaparelli, ispirata al busto dell’attrice Mae West.
Leonor Fini, Femme travestie, 1931, Centre Pompidou, Paris. Musée national d'art moderne Centre de création industrielle, Don de M. Frua de Angeli en 1932
Sono anni di fertili scambi e confronti, di occasioni preziose e incontri decisivi, come quello con Max Ernst, che introduce l’artista nella cerchia dei surrealisti. Sebbene il suo stile si avvicini al Surrealismo per la carica onirica e simbolica di molte sue opere, Leonor Fini non aderirà mai a questo movimento, preferendo tenersi fuori da qualsivoglia gruppo o corrente e mantenere la sua indipendenza. Così, nella Parigi di Henri Cartier-Bresson, Salvador Dalì, Man Ray, Georges Bataille e Picasso, l’artista spicca con la sua personalità forte ed eccentrica.
Nel 1936, eccola imbarcarsi per New York, dove espone alla Julien Levy Gallery con Max Ernst e partecipa alla celebre mostra Fantastic Art, Dada and Surrealism al MoMA.
A poco a poco, la pittura di Leonor Fini acquista quel carattere visionario e fantastico che sarà la sua cifra distintiva. Nei suoi lavori, fatti di “vertigini e baratri” come dichiara Max Ernst, si rincorrono figure ambigue e simbologie occulte. I temi della morte e della rinascita, del cambiamento, dell’identità, del rapporto tra uomo e natura affiorano sulla tela in modo singolare. Al centro vi è quasi sempre la figura femminile, dai tratti di volta in volta stregoneschi, fatati, mitici, felini… «Io ancora penso a Leonor come a colei che tra i pennelli e la tela ha posto uno specchio, lo specchio sulla cui superficie a volte passano riflessi gli interni moti della sua fantasia, i capricci, gli aspetti più intimi e affascinanti del suo sentire, e gradatamente li dipinge per noi per tramandarci e farci capire la complessità del suo dramma» scrive l’amico pittore Fabrizio Clerici.
Leonor Fini, Le Radeau, 1940-1943, Cantone Ticino
Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, Leonor Fini lascia Parigi e si rifugia in un primo momento nella casa di campagna di Max Ernst e Leonora Carrington, poi a Montecarlo. È nella cittadina monegasca che l’artista fa un altro incontro importante: quello con il console italiano Stanislao Lepri, che abbandonerà la carriera diplomatica per la pittura. Il profondo legame sentimentale tra Fini e Lepri durerà fino alla morte di lui nel 1980. Nella prima metà degli anni Quaranta, i due si stabiliscono per qualche anno a Roma, dove Leonor Fini frequenta e stringe amicizia, tra gli altri, con Anna Magnani, Elsa Morante, Mario Praz, Carlo Levi, Luchino Visconti e Alberto Moravia.
Leonr Fini, Sfinge. Collezione Fondazione CRTrieste
Nel 1946, Leonor Fini fa rientro a Parigi, dove si sente più a suo agio e meglio accolta rispetto al trattamento ricevuto dalla critica e dalla stampa italiane, interessate più alle sue trasgressioni che al suo talento creativo. Negli anni seguenti, l’artista realizza alcune delle sue opere più note ed emblematiche, come L’angelo dell’anatomia, La fine del mondo e La piccola sfinge eremita, lavorando intensamente anche come illustratrice e nel teatro. Al contempo, Leonor Fini continua a essere un’animatrice di primo piano della vita mondana e culturale parigina, partecipando assiduamente ai balli in maschera con travestimenti straordinari. Per lei il mascheramento è una vera e propria arte, un atto di creatività; basta dare uno sguardo agli scatti fatti da André Ostier, che la ritrae anche a Venezia nel 1951, in occasione di un leggendario ballo in maschera dove l’artista veste i panni di un Angelo Nero.
Nel 1952, Leonor Fini incontra l’altro amore della sua vita, lo scrittore polacco Konstanty Jeleński. Con lui e Stanislao Lepri dà avvio a un duraturo ménage à trois, incurante di convenzioni e maldicenze. Nei decenni successivi, l’artista continua a dipingere e a creare senza sosta, allontanandosi da Parigi solo per trascorrere le estati in Corsica, a Nonza, presso un ex convento francescano in rovina che diventa scenografico sfondo di feste memorabili e spettacolari.
Leonor Fini, Autoportrait au chapeau rouge, 1968. Museo Revoltella, Galleria d'arte moderna, Trieste
Audace e anticonformista, Leonor Fini ha lasciato un segno vivido e inconfondibile nell’arte del Novecento. Nel ricordarla, sono significative le parole che le dedicò l’amica Elsa Morante: “Poi viene Leonor. Le finestre diventano luce, le ragnatele tende preziose di nuvole e stelle, i rami secchi doppieri accesi, e la sera una grande serata; perché Leonor (come le ho detto mille volte e come non mi stancherò mai di dirle) unisce in sé due grazie: l’infanzia e la maestà”.