“Identificazione: incerta. Architetto: riduttivo. Artista: riduttivo. Designer: riduttivo. Pioneer: maybe. Anyway: Nanda Vigo”. Un modo insolito ma estremamente efficace di presentarsi, perché sintetizza in poche parole una carriera, una personalità e una creatività libere, anticonformiste e senza steccati.
Nanda Vigo non era semplicemente un architetto, un’artista o una designer, era la somma di queste professionalità e molto di più. Era una sperimentatrice e una cercatrice, e l’oggetto prediletto delle sue sperimentazioni e ricerche era la luce, tanto nella sua entità fisica quanto in quella trascendente.
Allestimento mostra 'Nanda-Vigo. Alfabeto Cosmogonico', Museo Comunale d'Arte Moderna Ascona
Nel corso del suo lungo percorso creativo, dall’inizio degli anni Sessanta fino al 2020, anno della sua morte, Nanda Vigo ha catturato, plasmato ed espresso la luce nelle sue molteplici forme e in infiniti modi. “Luce come costruttore di immagini ambientali, come struttura portante della filosofia del progetto. Luce ambientale come conduttore dei viaggi delle memorie, per colpire i centri della percezione e triggerare immagini altre” dichiarava nel 1988 in un suo celebre scritto, About Light.
Allestimento mostra 'Nanda-Vigo. Alfabeto Cosmogonico', Museo Comunale d'Arte Moderna Ascona
La straordinaria capacità della Vigo di forgiare la luce e, con essa, dare vita a installazioni e ambienti immersivi e avvolgenti è al centro della retrospettiva “Nanda Vigo. Alfabeto Cosmogonico”, allestita al Museo Comunale d’Arte Moderna di Ascona fino al 25 giugno e realizzata in collaborazione con l’Archivio Nanda Vigo di Milano. “Ogni luogo del museo si trasforma consentendo allo spettatore di vivere un’esperienza di carattere esistenziale dove tutti siamo invitati nello spazio di Nanda Vigo. Lei non crea dogmi ma attiva spazi di libertà. Da abitare e condividere” ha affermato Alberto Fiz, curatore della mostra. Ed è proprio così, le opere di Nanda Vigo mutano, abbagliano, riverberano, accolgono, stimolano, aprono a nuove prospettive e dimensioni.
Ritratto di Nanda Vigo
Nata a Milano nel 1936, Nanda Vigo ha modo di apprezzare l’arte fin da piccola, grazie alla conoscenza del pittore Filippo de Pisis, caro amico di famiglia. A colpire il suo sguardo di bambina attenta e curiosa sono poi le architetture di Giuseppe Terragni, in particolare la Casa del Fascio a Como, nella quale, a cinque anni, Nanda Vigo scopre “la bellezza in un volume che a prima vista era di tipo lineare e razionale, ma che, considerandolo attraverso le incidenze luminose, giocate attraverso il vetrocemento e le trasparenze dei pieni e dei vuoti, assumeva una dimensione occulta dalle molte sfaccettature, come un diamante”. Da questa precoce osservazione e contemplazione della luce si svilupperà pian piano l’interesse di Nanda Vigo.
Nanda Vigo, Holiday on Ice, 1992, per Glas Italia
Concluso il liceo, la Vigo si sposta a Losanna, dove studia architettura all’École Polytechnique Fédérale. Dopo la laurea, nel 1958 si reca in America per svolgere un importante stage a San Francisco. L’esperienza non la soddisfa pienamente, così dopo un anno fa ritorno a Milano, dove apre il proprio studio, focalizzando la propria ricerca sul rapporto, talvolta conflittuale, altre volte armonico, tra luce e spazio, sviluppandolo sul piano architettonico, progettuale e artistico.
Nella città meneghina, Nanda Vigo inizia a frequentare Lucio Fontana e poi gli artisti fondatori della galleria/spazio autogestito Azimut, Enrico Castellani e Piero Manzoni. Sono gli anni in cui il quartiere di Brera è un brulicare di idee, gallerie e progetti e al bar Jamaica si ritrovano intellettuali, artisti, scrittori, fotografi… Nanda Vigo è tra le poche donne a fare parte di questa vivace avanguardia culturale. “A proposito dei meravigliosi anni ’60… a parte il fatto che eravamo giovani e forti e speranzosi, non c’era proprio un bel niente, per i giovani, e ci siamo inventati un po’ di tutto, dalla comunicazione agli spazi espositivi, alla sopravvivenza vera e propria. […] Poveri ma belli. Per fortuna in zona Brera si era creata una specie di catena di soccorso umanitario con la condiscendenza di alcuni proprietari di trattorie e bar che generosamente accettavano quadri in cambio di pasti e ‘bianchini’” racconterà lei. Interessante e divertente, a questo proposito, il libro Giovani e rivoluzionari. Un’autobiografia dentro l’arte degli anni Sessanta (Mimesis, 2019), in cui la Vigo racconta con molto humour e schiettezza il clima di quel periodo.
Allestimento mostra 'Nanda-Vigo. Alfabeto Cosmogonico', Museo Comunale d'Arte Moderna Ascona
Con l’artista Piero Manzoni, in particolare, Nanda Vigo stringe un profondo legame sentimentale, fatto di complicità ma anche competizione. “Per me, smaniosa di fare, appena tornata dalla California dove avevo voluto a Taliesin West, delusa da [Frank Lloyd] Wright, ma eccitatissima al lavoro e dalla competizione con Piero, starmene ferma era una tortura. Mi piacevano da morire i suoi quadri bianchi […] un bianco pensato in azzeramento che invece era completezza, passavo ore a guardarli tra le pareti bianco splendente”. Un legame purtroppo di breve durata, a causa della improvvisa morte di Manzoni nel 1963, colpito da un infarto a soli 29 anni nel suo studio di via Fiori Chiari a Brera.
Risoluta, energica e radicale, Nanda Vigo si fa strada in un’epoca e una società poco propense a dare voce alla creatività e al pensiero delle donne. “Sono puntigliosa e forte di temperamento. Quello che devo dire lo dico sempre. E poi sono orgogliosa. Deve considerare che sono cresciuta, come altre, in una cultura di dominio maschile. Non c’era altra espressione: o ti veniva fuori il carattere o niente. Ecco, a me è venuto fuori per amore del mio lavoro”.
Tra le sue prime opere vi è la Zero House, a cui lavora dal 1959 al 1962: una “casa di luce”, con le pareti in vetro satinato al cui interno un sistema di luci al neon di diversi colori altera la percezione dello spazio; è la prima delle sue architetture immersive. Contemporaneamente sviluppa i Cronotopi, con cui intende fondere il tempo (cronos) con lo spazio (topos) tramite la funzione unificante della luce. Per fare ciò, si serve di forme e materiali semplici: una struttura quadrangolare di metallo, entro cui inserisce lastre di vetro industriale trasparente che filtrano la luce, dando luogo a effetti ottico-dinamici mutevoli e suggestivi.
Nanda Vigo, Stars Fell on Alabama, 2019
Nel corso degli anni Sessanta, Nanda Vigo viaggia molto lungo l’Europa; entra in contatto con il Gruppo Zero ‒ tra i movimenti più significativi dell’avanguardia artistica internazionale ‒ e vi aderisce con entusiasmo; partecipa a numerose mostre e, nel 1965, cura la memorabile collettiva “Zero avantgarde” nello studio di Lucio Fontana a Milano. A partire dal ’67, Nanda Vigo crea gli Ambienti cronotopici, naturale evoluzione della sua ricerca “cronotopica”, che inglobano lo spettatore permettendogli di vivere da dentro e in maniera multisensoriale l’esperienza della luce. Seguono i progetti della Casa blu, la Casa nera, la Casa gialla, senza dimenticare la famosa Casa sotto la foglia ideata con Giò Ponti, nota anche come Lo scarabeo sotto la foglia, un edificio iconico, a pianta centrale e privo di porte, diventato set di diversi film. Nanda Vigo vi ricopre l’intero spazio interno con piastrelle quadrate in ceramica bianca alternandole a mobili rivestiti in pelliccia sintetica grigia. Parallelamente, Nanda Vigo concepisce anche i suoi primi progetti e prodotti di design: è del 1971 il premio New York Award for Industrial Design per la lampada Golden Gate, con la sua luce fluorescente che sembra sprigionare direttamente dall’acciaio cromato.
Nanda Vigo, Golden Gate, per Arredoluce, 1969
Traendo ispirazione dalla filosofia, dalle civiltà antiche, dai suoi viaggi in India, Africa e Cina, così come dalla fantascienza e dai fumetti, Nanda Vigo prosegue così nel corso dei decenni la sua indagine finalizzata ad abolire i limiti spaziali e temporali attraverso l’uso artistico, poetico e spesso contemplativo della luce, per innescare processi e percezioni inattesi (la parola inglese trigger, ossia “innesco/innescare”, è tra le più usate negli scritti della Vigo). Ne sono testimonianza lavori come Trigger of the Space, Alfabeto Cosmogonico, Light Trees, fino ai più recenti Genesis, Deep Space, Galactica Sky e alla monumentale installazione Exoteric Gate, creata nel 2016 per il Cortile della Ca’ Granda dell’Università degli Studi di Milano e, in qualche modo, sintesi della sua lunga ricerca.
Nanda Vigo, Genesis, 2006. San Fedele, Milano, 2016
Vetro, specchi, cristallo, acciaio, neon, materiali scelti per le loro qualità riflettenti e rifrangenti: attraverso questi semplici elementi e grazie a un linguaggio personalissimo e distintivo, Nanda Vigo ha saputo evocare un “altrove” lontano, sconosciuto e misterioso, uno spazio cosmico senza confini.
Il premio Compasso d’Oro alla Carriera, assegnatole postumo nel settembre del 2020, è solo l’ultimo di tanti riconoscimenti a una figura innovativa e visionaria che per tutta la sua vita ha cercato e ricreato quella “luce diffusa, impalpabile, sospesa, che non sai da dove viene ma è materia dello spazio”.