Arte e Spettacoli

Pierre Pedroli e la montagna che si fa racconto

Pittore, grafico e illustratore fuori dal coro, Pierre Pedroli si racconta dopo una vita dedicata alla montagna

  • Ieri, 08:40
  • Ieri, 11:07
Foto 1.JPG

Pierre Pedroli ad Aurigeno

  • Raffaele Pedrazzini
Di: Raffaele Pedrazzini 

In una fredda e piovigginosa mattina, Pierre Pedroli ci accoglie nella sua casa di Aurigeno. Qui, da dove lavora da più di cinquant’anni, la storia avvolge ogni parete, fin dalla soglia. Superato l’atrio, in cui dominano scaffalature verdi, uno stretto corridoio conduce al suo studio di grafico. Gremito di libri, disegni e tele, il tutto si mescola in un armonioso ordine creativo. Ci sediamo con lui per fare quattro chiacchiere.

Pittore della montagna e della materia, Pierre Pedroli, che trasmette una vitalità sorprendente per la sua età, racconta il suo percorso come un viaggio ininterrotto tra maestose vette e paesaggi interiori. La sua passione per l’arte nasce in modo spontaneo, senza una data precisa, ma con un episodio che segna l’inizio della sua iniziazione artistica. È ancora un ragazzo quando il padre Ermanno, meccanico d’auto, lo affida a Germaine Verna, pittrice fauve di fama internazionale. «Salivo sulla sua Citroën anni Cinquanta che profumava di terpentina, colori ad olio e tabacco» ricorda Pedroli. «Il mio primo lavoro fu una veduta di Ascona dal porto, disegnata su una lastra di Pavatex. Lei fumava les Gitanes Maïs e sbuffava nuvole di fumo intenso mentre mi correggeva».

L’incontro con Pablo Picasso e Jean Arp a Solduno

Anche altri incontri piuttosto eccezionali plasmano il suo sguardo. Un giorno, mentre la pittrice dipinge il bocciodromo di Solduno, si avvicinano due figure: Pablo Picasso e Jean Arp. «Germaine mi presentò come suo giovanissimo allievo. Loro parlarono d’arte, di esperienze vissute, di visioni. Io ascoltavo, con lo stupore negli occhi di chi assiste a qualcosa di irripetibile».

Il talento, tuttavia, non basta. Occorre una direzione, un mestiere proficuo. Su consiglio del padre, Pedroli entra nello studio dell’architetto Oreste Pisenti. L’apprendistato gli fornisce gli strumenti per un’attività nel settore edilizio, ma la pittura resta un’urgenza, un respiro necessario.

La montagna come codice esistenziale

La montagna è il filo conduttore della sua opera, non come semplice scenario, bensì come archetipo, linguaggio esistenziale. Le creste innevate, i pendii scoscesi, la luce rarefatta e il freddo pungente diventano simboli di un’interiorità complessa, segnata da una tensione costante tra solitudine e resistenza, tra contemplazione e confronto con le forze della natura. Dai viaggi in Francia, Ungheria e Sud America, Pierre Pedroli assorbe suggestioni che nutrono la sua produzione. Ma è nella Valle Maggia che il suo segno pittorico affonda radici profonde: «ho dipinto molte volte sul posto, zaino in spalla, cavalletto e tele al seguito, su strade ghiaiose sempre più ripide. Bosco Gurin, il Piano delle Cascine, le Centovalli, Cimalmotto. Tornavo con uno o due lavori, e mio padre li mostrava con orgoglio ai clienti del suo garage».

L'atto pittorico di Pierre Pedroli

Dalle vette della Valle Maggia alla tela, dalla materia grezza al colore puro, Pedroli trasforma l’atto pittorico in un’esperienza totale, una conquista. Come l’alpinista, sale senza sapere con esattezza cosa troverà oltre l’ultima cresta

L’alta quota diviene non solo ispirazione, ma esperienza vissuta in prima persona. La pratica del gesto spontaneo, con la libertà di espressione che si affina nel tempo fino a divenire cifra stilistica, è anche dichiarazione di un’esistenza vissuta a stretto contatto con l’atto creativo. «Ho trascorso buona parte della mia vita in montagna. Fissare un traguardo in alto era quasi obbligatorio. Su alcune cime salivo anche fino a cinque volte a settimana, anche in inverno, sempre in compagnia del mio cane. Lungo i sentieri, annotavo, scarabocchiavo, segnavo piste, anche per permettere a mia moglie di localizzarmi. Finalmente comprendevo il respiro delle stagioni in montagna». Da questa pratica nasce la serie “Le Montagne”, che all’inizio degli anni duemila gli vale un riconoscimento del Club Alpino Svizzero e un documentario che lo consacra come Pittore della Montagna.

Per Pedroli, dipingere le montagne non è solo una rappresentazione paesaggistica, ma un’indagine filosofica sul limite, sul silenzio, sulla necessità della fatica. Le sue montagne sono simbolo di sfide interiori che ogni essere umano deve affrontare per conoscersi veramente.

Dietro l’opera di Pedroli c’è metodo, ricerca, studio, certo, ma anche un abbandono istintivo nel suo processo creativo. «L’idea la fermo con schizzi, spesso sul posto, e ad allora, quando uscivo, in quota. Poi scelgo il formato, la materia di fondo, il tipo di carta. La cromatologia è fondamentale: i colori evidenziano stati d’animo, sono frutto di una scelta intima. E infine mi lascio sorprendere, quando è il caso». In retrospettiva, a giudicare dalla sua produzione, sono proprio gli artisti amati da Pedroli a rivelare la stratificazione del suo linguaggio: «Germaine Verna mi ha trasmetto l’importanza della trasparenza e della verità del tratto. Van Gogh, la pennellata ruvida e immediata. Felice Filippini, il tratto nervoso e vibrante. E poi Hans Erni, che ho conosciuto personalmente, il tratto duro e preciso».

L’arte di Pierre Pedroli è un’evoluzione costante, mai un punto di arrivo, come ci confida: «non ho mai creduto che ciò che facevo fosse un traguardo. Ero curioso, quasi onnivoro. Ho anche realizzato opere materiche con tutto ciò che trovavo: vecchi arnesi, pezzi di motori, bulloni, bottiglie di plastica, giocattoli di mia figlia. Nulla era scarto, tutto poteva rinascere in una forma nuova».

Foto 3.jpg

Nelle opere materiche (qui Alba sul Rosa, 1998-1999), l’artista introduce materiali di scarto inserendoli in tele che diventano oggetti tridimensionali

  • Raffaele Pedrazzini

Un saluto, caro Pierre

Pierre Pedroli non ha mai smesso di interrogare il mondo con il segno, di trasformare la realtà in simbolo, materia e memoria. «Senza emozione non si arriva al sentimeno», legge dal suo taccuino, consapevole che la sua ricerca non si esaurirà mai. Le sue opere rimangono così segni tangibili di una curiosità sempre vigile, di un artista che non ha mai smesso di esplorare, di tradurre il paesaggio in forma, in gesto, in estensione, in narrazione. Ogni linea tracciata, ogni materiale assemblato diventa frammento di un discorso più ampio, un’eco di qualcosa che ci riguarda tutti.

Foto 4.JPG

Pierre Pedroli al lavoro nel suo atelier

  • Raffaele Pedrazzini

D’altronde, per lui, disegnare è «come correre, parlare, cantare. È un’espressione diretta, che serve a farsi capire, a dire al mondo quanto si è felici o tristi». Lo ripete spesso, a mo’ di mantra, perché per lui la pittura non è solo rappresentazione ma ancora una necessità primaria, uno strumento per orientarsi nel mondo e lasciare traccia del proprio passaggio. Passati gli ottanta, Pierre Pedroli non cede all’inerzia, testimoniando come l’arte, nel suo significato più ampio, possa essere al contempo rifugio e azione, riflessione e slancio creativo. E così, tra le pennellate che oggi avvengono perlopiù nel suo studio, continua la sua ascesa alla ricerca di un orizzonte sempre nuovo, consapevole che ogni nuova opera è un tassello di un discorso più vasto.

16:53

Pierre: la montagna dipinta

RSI Notrehistoire 16.06.2001, 15:31

Ti potrebbe interessare