Viscerale, cruda, diretta, intima, potente, provocatoria: sono alcuni degli aggettivi più utilizzati quando si parla dell’arte di Tracey Emin. Talvolta le sue opere sono come dei sussurri, delle confessioni, altre volte hanno l’effetto sconvolgente di un urlo, di uno squarcio. Tutte nascono dal suo vissuto, dalle sue esperienze emotive, relazionali, sessuali; è proprio per questo che appaiono così autentiche e senza filtri.
Ogni immagine è entrata prima nella mia mente, ha attraversato il mio cuore, il mio sangue – arrivando alla fine della mia mano. Tutto è passato attraverso di me.
Tracey Emin
Considerata tra le artiste più influenti del panorama contemporaneo, nei suoi quasi quarant’anni di carriera l’artista britannica ha affrontato con audacia e schiettezza temi complessi come la malattia, la sessualità, la solitudine, la morte, l’amore, il passare del tempo, il desiderio irrisolto di maternità, traducendo emozioni, traumi e desideri in opere intense e coraggiose, poetiche e conturbanti.

Tracey Emin, Exorcism of the last painting I ever made, 1996, performance-installazione. Courtesy of Schroeder Collection and Faurschou Collection
Tracey Emin. Sex and Solitude, non a caso, è il titolo della bella mostra curata da Arturo Galansino in corso fino al prossimo 20 luglio a Firenze, nel rinascimentale Palazzo Strozzi. Titolo che pone in rilievo due dei temi chiave nella ricerca dell’artista e che spicca, sotto forma di scritta al neon, sulla facciata del museo fiorentino, accogliendo i visitatori con un linguaggio visivo immediato ed essenziale. Creato appositamente per questa esposizione, Sex and Solitude è uno dei numerosi neon che ricalcano la grafia dell’artista e che costellano la mostra, testimoniando l’interesse di Emin per questo mezzo: «Sono cresciuta circondata da neon: erano ovunque a Margate. Oggi lì ne sono rimasti pochi, ma nel resto del mondo sono tantissimi. Io ho iniziato a farli perché volevo vederne di più in giro. […] Il neon è luce ed energia pulsante, è una cosa viva, e questo mi fa sentire bene». Accanto ai neon, nel percorso espositivo di questa prima grande mostra in Italia dedicata a Tracey Emin vi sono anche dipinti, monotipi, bronzi, fotografie, video e ricami realizzati dagli anni Novanta a oggi, offrendo uno sguardo ampio e sfaccettato sul suo lavoro.

Tracey Emin, Naked Photos – Life Model Goes Mad I, 1996. Courtesy of the Artist
L’arte dovrebbe sempre riguardare ciò che è vero per te come individuo, sempre. Dovrebbe essere sincera e nascere da un desiderio genuino di trovare le proprie risposte. Almeno, per me è così. Per molto tempo il mio lavoro è stato assolutamente fuori moda. Ma non m’importava, perché sapevo che era la cosa giusta per me.
Tracey Emin
L’onestà e la volontà di mettersi a nudo, condividendo anche le più intime vicende biografiche, le cicatrici e le imperfezioni, sono sempre state alla base del suo fare arte. A tale proposito, Nicholas Cullinan, direttore del British Museum di Londra, parla di «dedizione all’onestà» nell’esauriente catalogo che accompagna la mostra (ed. Marsilio Arte).
Nata nel 1963 nel rione londinese di Croydon, da padre di origine turco-cipriota e madre inglese di discendenza romanichal, Tracey Karima Emin cresce insieme al fratello gemello Paul nella cittadina marinara di Margate, nel sud-est dell’Inghilterra. La sua turbolenta adolescenza è segnata da una violenza sessuale subita a tredici anni e dalla fuga da casa a quindici.
Dopo il diploma in Belle Arti al Maidstone Art College, nel Kent, nel 1987 Emin si trasferisce a Londra, dove prosegue la sua formazione al Royal College of Art, specializzandosi in pittura con una tesi su Edvard Munch (sua grande fonte di ispirazione, insieme a Egon Schiele). Alla fine degli anni Ottanta, è tra i giovani artisti inglesi che scuotono e innovano la scena dell’arte, accanto a colleghi come Damien Hirst, Sarah Lucas e Jenny Saville, accomunati qualche anno più tardi dalla denominazione Young British Artists (YBA).

Tracey Emin, I do not expect, 2002, coperta con appliqué. Art Gallery of New South Wales
Nei primi anni Novanta, in seguito a due aborti traumatici, l’artista prova un senso di rifiuto verso la pittura, che abbandona per lungo tempo, distruggendo tra l’altro gran parte dei suoi primi dipinti. Tornerà alla pittura soltanto nel 1996, con una emblematica performance, Exorcism of the last painting I ever made, che la vede vivere e lavorare nuda in uno studio temporaneo per tre settimane e mezzo, sotto lo sguardo del pubblico. Intenta a creare lavori ispirati ad artisti come Egon Schiele, Yves Klein e Pablo Picasso, Emin attua così il suo “esorcismo artistico”, presentandosi al contempo come soggetto e oggetto della sua arte e invitando a riflettere sulla condizione della donna nella storia dell’arte, spesso vista soltanto come musa o modella.
Nel 1993, presso la galleria londinese White Cube, si tiene la prima mostra personale di Tracey Emin, in cui emerge già la forte componente autobiografica del suo lavoro: tra le opere esposte ci sono le foto dei dipinti distrutti, oltre a oggetti insoliti, come il pacchetto di sigarette rinvenuto nella macchina di suo zio, morto in un incidente stradale.

Tracey Emin, Those who Suffer LOVE, 2009, neon. Courtesy of the Artist and White Cube
Nel 1994, l’artista decide di compiere un tour degli Stati Uniti, da San Francisco a New York, insieme al compagno di allora, lo scrittore e curatore Carl Freedman. Finanzia il viaggio leggendo in pubblico, lungo il tragitto, il suo libro autobiografico Exploration of the Soul. Tornata in Inghilterra, viene sollecitata da Freedman a realizzare opere di grande formato per acquisire maggiore notorietà. Lei, che mal sopporta tale consiglio, decide di rispondere alla proposta con un lavoro provocatorio e di forte impatto: Everyone I Have Ever Slept With 1963-1995, ovvero una tenda da campeggio al cui interno sono cuciti con la tecnica dell’appliqué i nomi delle 102 persone con cui ha condiviso un letto dalla nascita. Emin vi include non soltanto i nomi dei suoi partner sessuali, ma anche dei familiari, come il fratello gemello, e dei due bambini che ha perso. Qualche anno dopo, l’installazione sarà acquistata dall’influente imprenditore e collezionista Charles Saatchi e inclusa nella celebre mostra Sensation, presso la Royal Academy of Arts di Londra, ma nel 2004 verrà irrimediabilmente distrutta a causa di un incendio scoppiato nel magazzino della Saatchi Gallery.
Ma l’opera che porta definitivamente Tracey Emin alla ribalta internazionale, scatenando un acceso dibattito, sarà My Bed. Esposta alla Tate nel 1999 in occasione della candidatura dell’artista al prestigioso Turner Prize e creata dopo un periodo di forte crisi emotiva, My Bed consiste nel letto sporco e sfatto dove Emin per diverse settimane ha bevuto e mangiato, fumato e avuto rapporti sessuali. Letto corredato di oggetti e rifiuti, tra cui bottiglie di alcolici, biancheria intima usata, mozziconi di sigaretta, preservativi e test di gravidanza. Un lavoro che è una porzione di esistenza, sconvolgente nella sua semplicità, e che, come molti altri dell’artista, annulla ogni confine tra privato e pubblico, vita e arte. Dal 2015, My Bed è esposto in modo permanente alla Tate Britain, condividendo la sala con i dipinti di Francis Bacon.
Dopo il clamore suscitato da quest’opera, la carriera di Tracey Emin sarà in costante ascesa: nel 2007, l’artista rappresenta la Gran Bretagna alla 52. Biennale di Venezia; nel 2008, per la prima Triennale di Folkestone, realizza l’intervento pubblico Baby Things, una serie di fusioni in bronzo di indumenti per neonati trovati per strada, che vengono disseminati lungo la città a rievocare le numerose gravidanze precoci della località balneare; nel 2011, Emin viene nominata Professor of Drawing presso la Royal Academy, diventando la seconda donna a ricoprire questo ruolo nella storia dell’istituzione inglese.

Tracey Emin, The Decent 2112 HK, 2016, calicò ricamato. Private collection - Xavier Hufkens Gallery
Negli anni, come una “William Blake donna sceneggiata da Mike Leigh” (efficace definizione concepita da David Bowie), Emin continua a dipingere dando vita a opere fortemente espressive e istintuali, in bilico tra figurazione e astrazione, caratterizzate da sovrapposizioni cromatiche e materiche, da pennellate rapide e intense, dettate da urgenza e passione. Il corpo non cessa di essere il suo soggetto prediletto: un corpo di volta in volta frammentato, sensuale, contorto, sofferente, desideroso, potente, fragile…
Penso che il corpo abbia una sua memoria: il mio è stato ferito dall’amore, dal sesso, dagli interventi chirurgici, dallo stupro, dalle malattie trasmesse sessualmente e dagli aborti. È come se quella parte di me fosse insensibile ormai, per ragioni sia psicologiche che fisiche. Oggi per me c’è qualcosa di più importante del sesso: è l’amore, sì, senza dubbio, l’amore è più importante.
Tracey Emin
Sperimentando tecniche e media diversissimi, Emin dedica all’amore innumerevoli lavori, contraddistinti da titoli espliciti: I Never Stopped Loving You, Those who Suffer LOVE, Hurt Heart, Coming Down From Love, I Wanted You To Fuck Me So Much I Couldn’t Paint Anymore, Not Fuckable, Take my Soul, solo per dirne alcuni.

Tracey Emin, Sex and Solitude, Palazzo Strozzi, Firenze, 2025. Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio
Tra i materiali che Emin comincia a utilizzare in tempi più recenti vi è anche il bronzo. Racconta di aver imparato la tecnica della fusione a cera persa in una fonderia a New York, su consiglio di Louise Bourgeois, artista a lei molto affine. Ha iniziato con piccole sculture per poi passare a opere monumentali, come The Mother, commissionata dalla città di Oslo e installata nel 2022 a pochi passi dal Museo Munch. “Vulnerabile e grandiosa”, come è stata definita dalla giuria del progetto, questa scultura rappresenta una figura femminile nuda, seduta e aperta verso il fiordo, come una sorta di dea protettrice. E appartengono a donne (di ogni estrazione sociale ed epoca) anche i 45 ritratti in bronzo che compongono il lavoro The Doors, creato nel 2023 per le porte della rinnovata National Portrait Gallery di Londra.
Voglio che le persone provino qualcosa quando guardano il mio lavoro. Voglio che sentano sé stesse. È ciò che conta di più.
Tracey Emin
Di certo non si resta indifferenti al cospetto delle sue opere, che riescono a toccare corde molto profonde.

Tracey Emin a Palazzo Strozzi in occasione della mostra 'Sex and Solitude'. Palazzo Strozzi, Firenze, 2025
Ex “Bad girl” dell’arte britannica, oggi Emin è una “Dame” ‒ onorificenza conferitale nel 2024 da re Carlo III per il suo contributo all’arte ‒ e nella sua Margate ha fondato i Tracey Karima Emin Studios e la Tracey Emin Artist Residency, un programma gratuito di formazione artistica. Il suo lavoro continua a scuotere e ammaliare, parlando a tanti, soprattutto alle donne.
Sono sicura che se fossi nata 400 anni fa mi avrebbero bruciata, affogata o seppellita viva. La caccia alle streghe continua ed è crudele oggi come allora, ci sono donne che vengono ancora bruciate vive, uccise a colpi di pietra.
Tracey Emin
E così lei, che nella vita si è trovata più volte sul ciglio dell’abisso e grazie all’arte è riuscita a non precipitarvi, non smette di dirci che guardare nell’abisso, misurarsi con esso, è il modo migliore per salvarsi.
[Tutte le dichiarazioni virgolettate sono tratte dalla conversazione fra Tracey Emin e Arturo Galansino pubblicata nel catalogo della mostra “Tracey Emin. Sex and Solitude”, ed. Marsilio Arte]
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Voci dipinte 06.04.2025, 10:35
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