Amore e classe operaia. Non necessariamente in quest’ordine. Sono questi gli ingredienti dell’ultimo film di Aki Kaurismäki, Foglie al vento. In un momento di meta-cinema di Foglie al vento i due protagonisti, che vanno proprio lì (al cinema), decidono di vedere un film sugli zombie e quando due spettatori escono prima di loro si beano di un citazionismo non proprio working class: «Gran bel film, a me ha ricordato quello di Bresson, Diario di un curato di campagna», «A me invece quello di Godard, Bande à part».
Non che la classe operaia non abbia una cultura cinematografica; quello che perplime è che sia questo il suo tipo di umorismo, compiaciuto del suo essere dotto. Detto questo, e fatta l’unica critica possibile al film, Foglie al vento è bello, piacevole, giusto.
Lui si chiama Ansa, come la nota agenzia stampa (si legge però “Anza”). Per vivere fa l’operaio, e beve. Come in una barzelletta della Settimana enigmistica, dice di bere troppo perché è depresso, e di essere depresso perché beve troppo. «È un circolo vizioso», gli fa notare un collega-amico. «Un… cosa?». Lo è.
Lei si chiama Holappa, è un’altra che conosce la differenza tra esistere e vivere e si trova ad incarnare la prima, suo malgrado. Perché quando prova a scegliere di vivere e non di limitarsi a esistere, viene punita. All’inizio del film fa la cassiera a un supermercato: la licenziano per aver preso un panino scaduto che doveva essere invece buttato nella spazzatura. Senza spoiler, il vero motivo del licenziamento ha a che fare con la solidarietà.
«Bravo, tu farai strada così», dice Holappa al tipo della sicurezza responsabile del suo licenziamento.
«Ho solo eseguito gli ordini», risponde lui citando senza volerlo (Kaurismäki lo vuole eccome) Hannah Arendt e la sua Banalità del male.
Di questo - anche di questo - era fatto il nazismo, ci dice il regista. Di questo sembra fatto pure il capitalismo.

Foglie al vento, A. Kaurismäki
L’alcol, torniamo un attimo lì.
Ansa ha questo problema. Beve. Beve sempre di più e fino a che la cosa non inizia ad avere un brutto sapore, insomma fino a che non è solo dipendenza, non è più gusto - non riesce comunque a vivere senza. E mica è facile scardinare una dipendenza senza aiuti. Certi draghi sembrano perfino più spaventosi del capitalismo, con cui comunque vanno molto d’accordo: come sopravvivere a un mondo del lavoro così duro senza trovare stampelle che però ti fanno cadere?

Foglie al vento, A. Kaurismäki
Il personaggio di Ansa è molto tenero. E molto rappresentativo. Il collega vuole portarlo a un karaoke, lui fa un po’ di resistenza. «Tu hai paura di cantare», gli dice l’altro. «Non ce l’ho, ma non ci riesco. Perché non ho voce». Quello che sembra un dialogo en passant è in realtà qualcosa di molto profondo, forse il fulcro del film. Non è la paura che blocca il canto di Ansa. È qualcosa di molto più antico, un’abitudine a non tirare fuori la voce. Forse da bambino o poco dopo fu paura; più probabilmente ci fu qualcosa che fu un motivo per aver paura. Ora è una resistenza meccanica, del corpo (il corpo che non è mai solo corpo): non ci riesco, non ho voce. La voce degli oppressi, il tema sottotraccia ma comunque presente nel film.
Allora, o canti o bevi. E lui beve.

Foglie al vento, A. Kaurismäki
Com’è, quindi, questo amore tra proletari che racconta Kaurismäki?
È: lui che perde il numero di lei mentre si cerca una sigaretta in tasca (chi ha o ha avuto una dipendenza sa quanto tutto questo possa essere metaforico, anche in maniera piuttosto dolorosa, perderti perché troppo intento a fumare, trattarti male perché troppo intenta a bere, perderti perché mi perdo); lei che per invitarlo a casa ha dovuto comprare un piatto con delle posate, tale era il suo livello di solitudine; lui che non vuole ricevere ordini sullo smettere di bere, lei che non vuole altra gente con dipendenze in famiglia.
La canzone che fa: “Tu mi piaci, ma è me che non sopporto”. Lui che diventa “sobrio come un topo del deserto”.
«Perché sei cambiato?», «Sei stata tu». È andato ad Alcolisti Anonimi, dice. Salvarsi da soli, non lasciarsi salvare. Trovare nell’altro, o nell’altra, però, una motivazione per farlo. E negli altri (Alcolisti Anonimi, una collettività) uno sprone e dei metodi, ma mai e poi mai giudizio e imposizioni.
Un ottimo messaggio natalizio, dopotutto. Un vero e non retorico messaggio d’amore.

Le nuove uscite nelle sale cinematografiche
RSI Cultura 21.12.2023, 18:00
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