L’underdog che diventa eroe, il denaro che tenta e corrompe, la lotta di un Davide indipendente contro i Golia del mercato. Ci sono gli ingredienti per un grande racconto drammatico, nella storia di Minecraft. Videogioco che ha cambiato questo pezzo dell’industria dell’intrattenimento, ma anche simbolo delle possibilità offerte dalla modernità, riassunto di un’epoca.
Tutto nella storia di Markus Persson detto “Notch”, ragazzone di Stoccolma capace di creare da zero uno dei successi commerciali più giganteschi di sempre, nel mondo dei videogame.
Inizia negli Ottanta. Il piccolo Markus ha circa otto anni quando suo padre acquista un PC Commodore: Markus inizia a giocare, ma anche a programmare. In breve tempo, i signori Persson si rendono conto che sta succedendo proprio a loro ciò che molti genitori temono: hanno un figlio nerd. La madre tenta di correre ai ripari appendendo in camera del suo ragazzo i poster dei calciatori. Niente: il figlio continua a preferire i computer.
Presto però il problema di Markus passa in secondo piano: i genitori divorziano quando lui è appena adolescente, il padre finisce in prigione, la sorella per strada. Con la famiglia in pezzi, Markus si rifugia nella sua passione, una via di fuga destinata a diventare un lavoro. Nel 2004 viene assunto dalla Midasplayer, piccola società di sviluppo che propone un modello di business diverso da quello seguito dalla maggior parte delle software house: niente produzioni sfarzose, ma piccoli giochi per il web o i telefonini. Roba semplice, intuitiva, economica, senza intermediari e investimenti in pubblicità o marketing. Qualche tempo dopo, la Midasplayer sarebbe diventata King, avrebbe lanciato un successo planetario come Candy Crush e sarebbe stata comprata per cinque miliardi di dollari.
Markus se ne va dalla Midasplayer ben prima di quel lieto fine, per cercare il suo. Ma fa tesoro di quella esperienza, e dei contatti con i programmatori indipendenti che diventano un vero e proprio movimento culturale in Svezia nel corso dei Duemila. Sono ragazzi che non vogliono vedere solo “maschioni con grosse pistole” sulle copertine dei videogiochi, ma rimettere la creatività al centro dell’industria. I nuovi sistemi di distribuzione digitale sembrano fatti apposta per loro. E per Markus, che oramai ha assunto il nome d’arte – da programmatore, meglio – con cui sarà conosciuto da lì all’eternità: Notch. Nel 2009, Markus lancia la prima versione di Minecraft: a prima vista è solo la versione riveduta e corretta di un altro gioco indie, Infiniminer, non assomiglia a una rivoluzione. Invece.
Nel periodo in cui sul mercato stanno prendendo piede i videogame “free-to-play” (gratuiti all’inizio, rendono necessari micro-acquisti per proseguire nel gioco), Markus propone un modello contrario: Minecraft costa tredici dollari subito, e poi più niente. Se riuscirà a vendere venti copie al giorno, fantastica, potrebbe perfino licenziarsi dal lavoro. Un anno e mezzo più tardi, le copie vendute quotidianamente da Minecraft sono ventimila.
I gamer di mezzo mondo si innamorano perdutamente di questo gioco radicalmente alternativo, sin dall’impatto estetico: in un’epoca in cui tutti ricercano una grafica sempre più realistica, il mondo di Minecraft è iper-stilizzato, costruito con blocchi di grandi dimensioni che altro non sono se non la versione tridimensionale dei pixel dei videogame anni Ottanta (infatti si chiamano voxel).
Ma ovviamente, un tale successo non dipende da una fascinazione estetica – o almeno, non solo. Minecraft è infatti un gioco fondato su libertà e creatività: nella sua formula fondamentale, i giocatori esplorano un mondo virtuale, raccolgono materiali e con quelli costruiscono edifici e strumenti. In più, queste strutture li proteggono dai cattivi che di notte si aggirano per quelle terre.
È facile rivedere dentro questo schema di gioco almeno due importanti richiami all’infanzia: il primo, molto concreto, è la tradizione nordeuropea dei giochi di costruzione. Minecraft è un Lego virtuale infinito. Il secondo, invece, ha a che fare con due impulsi fondamentali dei bambini, che da una parte bramano l’esplorazione del mondo, e dall’altra amano la sicurezza della casa.
Non c’è da stupirsi dunque, se Minecraft diventa in breve tempo il gioco più giocato da chi va alle elementari, né se i genitori accettano di buon grado che Minecraft rappresenti la prima porta di accesso al mondo dei videogame per i loro figli: sono rassicurati dal ritmo tranquillo, dall’accento sulla costruzione e la cooperazione, invece che su distruzione e competizione. E, beh, anche dal fatto che non vedono sullo schermo le già citate grosse pistole.
L’ultimo, fondamentale blocco che ha costruito il successo di Minecraft, è il suo perfetto tempismo. Insieme al gioco è infatti arrivata l’esplosione di YouTube: nel gennaio 2009, il sito di condivisione video raggiunge per la prima volta i cento milioni di singoli spettatori mensili negli Stati Uniti; nel 2010, un ragazzo svedese (again) apre il canale sul quale racconta le sue partite a Minecraft e ad altri giochi. Si fa chiamare PewDiePie, ed è una delle prime storie di successo di quella che oggi è considerata l’epoca d’oro dei cosiddetti creator di YouTube. Il video “Let’s Play” diventa un vero e proprio genere di intrattenimento, all’interno del quale i video delle partite di Minecraft sono la nicchia più popolare. Quando i bambini non giocano, guardano video di altri giocatori, in un ciclo continuo di rinforzo positivo.
Ma torniamo a Markus detto Notch, che vede la sua creatura superare quotidianamente record storici di successo.
Persson si ritrova milioni di dollari in banca, rifiuta le offerte di lavoro provenienti dai big del settore e fonda la sua compagnia - la Mojang - per rimanere libero, diventando così un eroe per gli sviluppatori indie. Con il denaro, però, arrivano i problemi.
Minecraft si basa infatti su un sistema di server indipendenti dalla Mojang, veri e propri mondi creati dai giocatori. Gestire un server diventa presto un business: alcuni iniziano a farsi pagare dai giocatori, per il solo collegamento, oppure per ottenere benefici come oggetti virtuali capaci di migliorare le performance di gioco. Così alcuni ragazzi prosciugano la carta di credito dei genitori per comprare armi virtuali più potenti, pozioni magiche e tutto quello che può servire in una partita di Minecraft. E anche se la Mojang non è responsabile dei server e non vede un euro di quei soldi, lamentele e proteste arrivano sulla scrivania di Markus.
Il tentativo di imporre regole per rimettere ordine in quel caos non funziona: l’idea che Persson possa tutelare i suoi interessi viene percepita come un tradimento. Su internet si scatena un’ondata di odio. Markus a quel punto sceglie la via d’uscita che nessuno si sarebbe aspettato: nel 2014 vende la sua creatura – per due miliardi e mezzo di dollari – a Microsoft, proprio la nemesi di ogni sviluppatore indie che si rispetti. Markus scrive una lettera: “Sono diventato un’icona”, dice. “Non voglio essere un’icona, non voglio essere responsabile di qualcosa di tanto enorme”.
Sono passati altri dieci anni, Minecraft è ancora un gioco amatissimo: Microsoft l’ha trattato bene, e nel 2023 Minecraft ha superato i 300 milioni di copie vendute. Notch ha provato a progettare altri giochi, ma per ora pare sia stato molto più occupato a spendere, tra yacht, Ferrari e party privati, per i quali ha noleggiato i servizi di DJ come Avicii, Deadmau5 e Skrillex. La sua passione di bambino è andata perduta, forse. In compenso ha comprato una meravigliosa villa a Beverly Hills – con grande scorno, pare, di Beyoncé e Jay-Z, che hanno visto superata la loro offerta.
Quindi, forse è il caso di metterlo nel 2014, il punto finale di questo potente racconto esemplare contemporaneo. Rimane da chiedersi se i soldi bastino, a renderlo lieto.

Blocchi. Blocchi dappertutto
Il divano di spade 05.04.2025, 18:00
Contenuto audio