Elon Musk non viene mai nominato nel documentario Shifting Baselines, presentato in prima mondiale al festival Visions du Réel a Nyon. Eppure il film è stato principalmente girato a Boca Chica, Texas, una piccola comunità che dal 2014 comprende anche un enorme sito di lancio di SpaceX, l’azienda aerospaziale privata fondata da Musk nel 2002, con lo scopo di sostenere la colonizzazione di Marte.
Al regista canadese Julien Élie, però, non interessa dare ulteriore spazio a chi può comprare una piattaforma social o conquistare un pianeta; meglio ascoltare le voci dell’umanità che si raduna attorno a questi monolitici razzi, incredibilmente rumorosi in fase di lancio quanto silenziosi e inquietanti mentre attendono di spiccare il volo. Oppure preferisce accogliere il punto di vista di chi ha costruito la propria casa in questo luogo e ora medita di andarsene, a causa del frastuono o dell’insostenibile tristezza generata dalla morte di un tessuto sociale e abitativo spontaneo, vivo, sostituito da quello che è a tutti gli effetti un “company village”, un villaggio aziendale costruito attorno a Starbase, dove difficilmente abiteranno persone in grado di permettersi un biglietto per passeggiare su Marte.
Shifting Baselines ci conduce solo brevemente dentro i luoghi in cui si creano questi enormi vascelli spaziali, senza volerci mostrare chissà quali dettagli. Non ci fa ascoltare scienziati e tecnici entusiasti, non ci propina addetti alla comunicazione e al marketing, non ci vuole svelare affascinanti o loschi retroscena e non ha neppure l’intenzione di schierarsi “contro” quest’operazione e chi la porta avanti.
La camera di Julien Élie attende e si aggira sulla spiaggia, pronta a incrociare qualche visitatore venuto da lontano, magari stupito che questo luogo non sia preso d’assalto, essendo “il più importante al mondo”. Aspetta il prossimo furgone del tour organizzato che porta le persone in gita - con pranzo compreso nel prezzo - attorno alla base di SpaceX, con tanto di appostamento finale nei dintorni per assistere a un lancio. Incontra anime speranzose di vedere l’umanità espandersi verso nuovi corpi celesti, visto che, secondo loro, “siamo stati disegnati per esplorare”; altre che descrivono il luogo come un cantiere simile a quello “in cui furono costruite le Caravelle di Cristoforo Colombo”, una similitudine che dovrebbe destare preoccupazione più che meraviglia, se solo si imparasse a guardare alla storia non solo dalla parte dei vincitori.
Sulla spiaggia arrivano turisti, curiosi, alcuni cercano pezzi di razzi o satelliti esplosi durante i lanci non andati secondo i piani, come se fossero semplici souvenir da portare a casa, ma tra le onde Élie incontra anche attivisti e biologi, che documentano e denunciano i gravi danni ecologici che la presenza di SpaceX ha già provocato, come la scomparsa di numerose specie rare di uccelli e di altri animali.
La privatizzazione del cielo
Lo sguardo del regista si sposta anche lontano e in dialogo con scienziati che osservano e monitorano le migliaia di satelliti che già orbitano attorno alla Terra, ormai imprigionata in una trama sempre più fitta di reti e circondata da quelli che possiamo definire detriti e rifiuti spaziali.
C’è qualcosa di commovente, che ci riguarda tutti, nel momento in cui un’astrofisica in Canada dice che il “suo” cielo è stato reso illeggibile, che a causa delle rotte e delle tracce lasciate dai numerosi satelliti - destinati a crescere esponenzialmente di numero - non può più svolgere il suo lavoro, utile anche a prevedere possibili disastri sulla Terra.
Lo spazio è un nuovo Far West, un Nuovo Mondo che pensiamo di poter controllare, gestire e occupare come meglio crediamo, con pochissime regolamentazioni attualmente presenti: si agisce seguendo la legge del più forte, ovvero di chi ha più soldi e potere. Una storia già sentita, già vista, che vogliamo esportare addirittura su altri pianeti.
Il concetto di “shifting baselines”, che dà il titolo al documentario, viene spiegato nel film direttamente dal biologo marino Daniel Pauly, che lo ha utilizzato per indicare una sorta di amnesia intergenerazionale, o amnesia ecologica. Si tratta della tendenza ad adattare la percezione che abbiamo dell’ambiente in relazione alle nostre esperienze personali, qualcosa che ora - con la progressiva distruzione di interi ecosistemi - sta già conducendo alla perdita della memoria collettiva delle condizioni della natura e dell’ambiente del passato. In altre parole, i nostri nipoti potrebbero crescere in un mondo in cui per loro il cielo non è mai stato stellato, i ghiacciai sono sempre stati superfici molte ridotte e i pesci nei fiumi piccoli e rari. Una spirale discendente già in atto, che rischia di portarci a una completa normalizzazione del degrado ambientale.
Dietro l’insegna luminosa
Girato in un elegante bianco e nero, che rende quasi alieno il paesaggio di Boca Chica, Shifting Baselines ci mostra un retroscena inatteso per un’operazione tanto ambiziosa, costosa e teoricamente emozionante come la conquista dello spazio.
Anche le persone più genuinamente entusiaste e affascinate da SpaceX e da ciò che rappresenta sembrano sospese, bloccate in un’enorme sala d’attesa. Un po’ come i razzi parcheggiati nella base, sicuri di avere un grande destino davanti, ma per ora lì, fermi. Forse a ridurre la gente in questo stato è la consapevolezza che qui, sulla Terra, tutto è perduto, e la convinzione che l’unica soluzione sia trovare un’altra casa, invece che provare a salvare quella in cui viviamo ora. Come se l’universo ce lo dovesse, come se ce lo fossimo meritato.
Il mito della scoperta e dell’esplorazione, e il nostro presunto diritto a perseguirle, appartiene ad un mondo impari, ad una storia che ha trasformato questi concetti - concepiti come eroici - in sfruttamento e conquista, che si sia trattato di ecosistemi, di aree naturali, di risorse, di persone, di intere popolazioni. Saremo forse migliori oltre i confini terrestri?
Shifting Baselines ci espone, in modo pacato e con una fotografia favolosa, una ricerca, il frutto di uno studio, il risultato di lunghe osservazioni e di molti incontri, realizzato con approccio giornalistico e artistico in egual misura, senza sensazionalismi, senza citare Musk, senza citare Trump. Julien Élie ci porta sulla spiaggia dove svettano i razzi immobili destinati a conquistare Marte mentre intorno a noi una piccola pattuglia della polizia controlla che nessun messicano abbia superato illegalmente la frontiera con il Texas. Un accostamento semplice e potente, che racconta molto delle nostre aspirazioni di “grandezza”.

Visions du Réel
Tra le righe 07.04.2025, 14:00
Contenuto audio