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Hooligan: serie polacca sul rapporto padre-figlio e sulle dinamiche di gruppo

I cinque episodi su Netflix semplificano l’hooliganismo, ma hanno il grande pregio di raccontare il pericolo di cascare dalla padella alla brace, in una parabola che non ammette tregua

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Hooligan, serie TV

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Di: Valentina Mira 

È su Netflix la nuova serie polacca in cinque episodi, Hooligan.
Quando si vuole criticare la tendenza a prendere posizioni - politiche, ma non solo - semplici, si dice: non stiamo parlando di tifo calcistico. Come se il tifo fosse materia semplice. Chiunque sia scevro da pregiudizi classisti o pseudo-intellettuali, chiunque soprattutto abbia un minimo di contezza dell’argomento, sa che invece poche cose sono così complesse quanto il tifo.
Hooligan riesce a tenere conto di questa complessità? Molto parzialmente, e solo dal terzo episodio in poi.

Nonostante le caratteristiche peculiari dell’hooliganismo polacco, la serie ha poco o nulla a che fare col mondo ultras. C’è molto di folkloristico, quasi macchiettistico nella rappresentazione, schiacciata su una lettura piuttosto banale: solo disagio, solo droga, solo cattiveria. Solo muscoli. Sessismo, neanche a dirlo (e negare che ci sia nell’ambiente sarebbe però mentire).
Qualcosa di interessante però c’è, e si articola in due punti principali.
Il primo è il rapporto padre-figlio, con il giovane protagonista cresciuto con un senso di appartenenza e dei codici comportamentali che, per esempio, sul mondo del lavoro crollano e dimostrano tutta la loro inadeguatezza al di fuori di quella che viene rappresentata come fosse una setta.
Il padre gli dice: «Anche se fossero stati in dieci avresti dovuto reagire, è così che si guadagna il rispetto». Poco dopo però il ragazzo lo vede con il suo supervisore, nei panni di operaio e non di tifoso; in quel caso sono uno contro uno e la violenza non è fisica, è quella del ricatto economico, quella di classe. Il figlio è confuso e arrabbiato, forse perfino deluso dai doppi standard del padre, la cui parola fino a quel momento era stata legge.

Il secondo elemento, forse quello più importante, di tutta la serie è la seguente dinamica: il ragazzo subisce una rappresaglia da parte dei capi ultrà. Una rappresaglia sanguinosa ed estrema in cui (da qui ci saranno spoiler) gli viene tagliata una mano.

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La complessità - non calcistica ma umana - entra finalmente nella narrazione. Ed è dolorosa e autentica la scena di lui che decide che il suo amore per la squadra è più importante di quello che è successo, e si presenta comunque allo stadio. È a quel punto che le stesse persone che l’hanno visto crescere e che poi l’hanno tradito lo cacciano via.

Resta analogamente legato ai valori di chi lo ha formato: si rifiuta, ad esempio, di andare dalla polizia (“quei maiali”), resta omertoso anche rispetto a un caso estremo come quello di un’amputazione.
A questo punto, ferito da ogni punto di vista, sceglie - per reazione più che per amore, e se per amore lo fa per amore del calcio, e se per amore del calcio lo fa per amore del padre - la parte opposta. La squadra opposta. Ma la parte opposta sarà diversa da quella da cui viene?

Uscire da una setta e finire in un’altra è una liberazione o una trappola?
Quante persone genuine, fuor di metafora calcistica, si trovano sfruttate e invischiate in dinamiche collettive profondamente velenose?

Nell’ultima puntata si arriva, proprio da parte del gruppo legato alla squadra che lui è stato educato per odiare e per la quale ora tifa, al massimo della reificazione nei confronti del ragazzo. La protesi per la mano costava una cifra che si aggirava sulle 230mila, la sua famiglia operaia non se la poteva permettere; la sua squadra sì. Ma non è una protesi normale: è un’arma. Il racconto, già grottesco, ora diventa metaforico e lui non pare più umano. La protesi acuminata è il simbolo di cosa voglia dire diventare arma di un gruppo, la reificazione di cui si parlava.

In definitiva, Hooligan è una serie tv mediocre ma a tratti originale, soprattutto per quanto riguarda la volontà di indagare il maschile più tossico, e il pericolo che si cela, talvolta, dietro un desiderio di appartenenza e, forse, di amore. Anche dal proprio padre, perché no.

22:56

Ah, come passa il tempo...

Il divano di spade 22.02.2025, 18:00

  • Michele R. Serra

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