Cinema

Il fabbricante di lacrime: un’interpretazione (anche) junghiana del successo di una storia

Tra meme e stereotipi, il film Netflix tratto dal bestseller di Erin Doom va preso sul serio perché sul serio vanno prese tutte le narrazioni che coinvolgono masse di persone

  • 5 ottobre, 13:31
Immagine1.jpg

Il fabbricante di lacrime

  • Netflix
Di: Valentina Mira 

Delicato parlare de Il fabbricante di lacrime, film tratto dal bestseller di Erin Doom. Delicato per almeno tre motivi: chi scrive è una collega dell’autrice, e mantenere capacità di discernimento e critica senza incappare in accuse di invidia in un ambiente in cui non mancano le meschinerie è complicato; il secondo motivo è che, d’altra parte, il libro è un romance e, alla stregua di “Twilight”, “Tre metri sopra il cielo”, “After”, “Kiss me like you love me” - solo per citarne alcuni - non è privo di stereotipi profondamente tossici sull’amore romantico, stereotipi che appartengono a quel canone, nondimeno vanno evidenziati; il terzo e ultimo motivo è che i libri di Erin Doom vantano plotoni di persone giovani e giovanissime disposte a difendere l’autrice e ciò che scrive a costo della vita. Nessuno è più feroce di una tredicenne che vede criticato il suo mito. Ciò detto, tenteremo un’analisi lucida, rispettosa, onesta.

Il film inizia come molte favole: la protagonista diventa orfana. Non prima di aver ricevuto le ultime due lezioni di vita da sua madre, e cioè: «con la delicatezza si cura ogni cosa», e «i lupi non sono cattivi», che lo sono l’ha deciso solo chi scrive per l’infanzia. Capiamo immediatamente che non si sta parlando di animali ma di persone, e quale sia la promessa narrativa, il patto con lo spettatore: qui la morale di prudenza comune verrà ribaltata, Cappuccetto Rosso s’innamorerà del lupo e lo salverà. Peccato che ci fosse un motivo se le fiabe tradizionali mettevano in guardia da una dinamica del genere.

Dopo l’incidente Nica finisce in orfanotrofio, un posto più simile a una caserma («Qui ci sono poche regole: ordine, rispetto, obbedienza»). In pratica, subordinazione e sissignore, anzi sissignora.
La ragazza ne uscirà, adottata insieme a Rigel, il nostro love interest: bello e dannato, eccetera.

Ora. Il tema è nell’aria, e non da oggi: possibile che un libro venduto in centinaia di migliaia copie non dovesse - se non nella persona della scrittrice, almeno in quelle degli editor - badare a certi dettagli che dettagli non sono, per esempio a non alimentare la cultura dello stupro? Il mercato dice che non è importante. Le conseguenze nelle vite delle persone sì. Se si ha rispetto dell’immaginario e di come certe scelte nutrono un’idea di violenza, fatta passare per amore, ci s’interroga al riguardo, e magari le si evitano.

Forniremo degli esempi chiari tratti dal film, lavoro ancor più collettivo (e dunque a responsabilità diffusa, non limitata alla singola Erin Doom) del libro.

Il primo: lui che le stringe una coscia sotto al tavolo senza consenso, a tavola coi genitori adottivi. Sempre lui che entra in bagno quando c’è lei, poco dopo che lei era entrata nella camera di lui e lui le aveva risposto malissimo, difendendo (anche giustamente ma con un eccesso di aggressività verbale) quello spazio. Non si capisce come e perché lei dovrebbe essere attratta da uno che la chiama “falena” e passa il tempo a minacciarla. L’unica spiegazione, come al solito, è la sindrome da crocerossina della protagonista, emblematicamente rappresentata dagli stucchevoli cerottini onnipresenti sulle sue dita, da Biancaneve che salva animaletti anche se - poverina - le fanno tanto male. Ma lei può. Una madonna misericordiosa che tutto comprende, e capisce, e soprattutto sopporta. Perché il vero amore cura tutto. Peccato che sia un concetto a senso unico.

Quanto al consenso, comunque, il vero punto problematico del film è una scena che riguarda le due amiche di Nica. Una delle due dorme, l’altra la bacia sulla bocca; peccato che la nostra Bella Addormentata sia etero. Non si può far passare un atto penalmente rilevante come baci o altri gesti connotati sessualmente mentre uno dorme per qualcosa di lecito e addirittura romantico. Non nel 2024. È bizzarro che l’autrice, laureata in Giurisprudenza, l’abbia permesso.

Ci sono, tuttavia, dei momenti altissimi nel film. Il migliore è il seguente. Nica sta parlando con un ragazzo, questo le si presenta e Rigel si infila tra i due. Il dialogo è straordinario:

«Comunque piacere, io sono…»
«In mezzo».

È uno dei momenti più ilari del film, ciò che rende Il fabbricante di lacrime validissimo come Fabbricante di meme. È un complimento. È importante arrivare a un pubblico variegato, e il tutto riesce a essere assolutamente godibile anche per chi ha una visione molto disincantata sul genere e vi si approccia con enorme scetticismo. L’estrema cupezza della fotografia (in stile “Twilight”), l’aria grave e comicamente seria con cui vengono pronunciate le battute: tutto questo risulta molto buffo, pertanto piacevole.

54:40

Alphaville

Alphaville 02.02.2023, 11:30

  • salani.it

A cosa è dovuto il grande successo del Fabbricante di lacrime?
Il discorso del lupo. Se prendiamo per un attimo sul serio cosa può essere risuonato nell’inconscio di milioni di giovani, soprattutto donne, e ne diamo un’interpretazione in termini psicologici, possiamo dire che Nica e Rigel sono due parti della stessa persona. Come diceva Jung, anima e animus. Che lei da bambina rifiuta lui - Rigel, il lupo - che rappresenta la rabbia, la violenza, l’Ombra; crescendo, e precisamente quando lui passa da essere violento in modo indiscriminato (anche contro di lei) a rabbioso solo per legittima difesa, c’è l’integrazione dei due lati. Il racconto, interpretato in questo modo, non parla tanto di un amore tossico, quanto della crescita di una sola persona. Del maschile che integra la cura e impara a gestire la rabbia. Del femminile che impara ad agire la suddetta rabbia: emblematica la scena in cui lui la difende da una tentata violenza sessuale.

Sarebbe auspicabile che questa integrazione avvenisse all’interno delle giovani donne, perché delegare l’autodifesa e la rabbia agli uomini non funziona. Questo, nella realtà. Vedremo se la generazione che ha apprezzato Il fabbricante di lacrime sarà in grado di fare quello scarto tra il cercare il salvatore all’esterno, in narrazioni che relegano le donne in funzioni di cura e ancillari - dove le amiche sono un sostitutivo e un riempitivo della trama in assenza di partner -, e trovarlo dentro di sé e tra le altre. Perché di lacrime non abbiamo bisogno: di lupe, evidentemente sì.

01:30

Il film “Reinas” rappresenterà la Svizzera agli Oscar

Francesca Rodesino 26.09.2024, 11:20

1:20:30

Spoiler tra le serie

Spoiler 23.04.2024, 13:30

Ti potrebbe interessare