La ventiseiesima edizione del Black Movie Festival di Ginevra è cominciata lo scorso venerdì 17 gennaio e continuerà fino a domenica 26 gennaio 2025. L’appuntamento, specializzato in produzioni cinematografiche indipendenti ed extra-europee, presenterà nel corso dei dieci giorni di attività ben 144 pellicole provenienti da 48 paesi e che quest’anno dedica un omaggio importante alla fotografia e al cinema palestinesi.
Il Black Movie Festival, che si inserisce nel variegatissimo panorama dell’offerta di festival cinematografici svizzeri, nacque dall’idea di un cinema “nero” in tutti i sensi del termine, anche geografici. Come per le altre edizioni, anche quest’anno il programma del festival rimane fedele rispetto alla sua missione originaria. Ci sarà, infatti, una piccola sezione sul cinema africano, così come è garantita la presenza di cineasti a cui il pubblico è affezionato: il festival ha una sezione chiamata A suivre, in cui invita le e i registi che ama di più edizione dopo edizione. Tra gli esempi più celebri troviamo il grande documentarista cinese Wang Bing, che negli anni ha presentato al Black Movie Festival ben quindici pellicole e che quest’anno si ripresenterà in gara con un nuovo documentario.
Il festival ginevrino dedica spazio anche all’arte palestinese, poiché vengono proiettati i cortometraggi del progetto From Ground Zero del regista Rashid Masharawi, iniziativa ideata durante gli sviluppi dell’ancora attualissimo conflitto israelo-palestinese:
«L’idea di Rashid Masharawi, che oggi vive in Francia, è stata quella di dare la possibilità ai colleghi e alle colleghe che sono rimaste nella Striscia di Gaza durante la guerra di fare il loro lavoro, cioè di filmare. Il gesto è artistico, non politico. Il Festival di Cannes, per evitare ogni tipo di polemica, ha deciso di non proiettare questi ventidue film che durano dai tre ai sette minuti. Finora sono stati visti in festival più lontani come Amman, Toronto o Taormina quest’estate. Ma il film, va detto, esce nelle sale americane proprio in questi giorni ed è finito nella short list per gli Oscar stranieri. L’inizio del primo di questi cortometraggi vede una ragazza davanti al mare che scrive una lettera in cui racconta il suo quotidiano sotto le tende, sotto le bombe, per poi mettere questa lettera in una bottiglia di plastica e lanciarla nel mare. Il mare, tra l’altro, è molto presente ovviamente in questi cortometraggi, così come i bambini. Questi film sono brevissimi, si situano al confine tra documentario e finzione. Perché le bombe e le macerie che vediamo filmati sono reali. Direi però che al di là della politica, è questo che rende abbastanza straordinario il film composto da ventidue piccoli lampi: la tensione continua tra spietatezza del reale, condizione individuale e fuga nel sogno e nella creazione. Direi che la cifra unificante del film, è che se si parla molto di martiri, di stragi, di intere famiglie, non si parla mai di nemici. Si parla piuttosto di sogno, di fughe, di amore, di immaginazione, in modo ovviamente molto tragico. Scopriamo, durante tutti questi ventidue cortometraggi, artisti che continuano a dipingere, scolpire, raccontare... nonostante tutto»
Lou Lepori ai microfoni di Rete Due
Parallelamente alla proiezione dei cortometraggi, al Black Movie Festival è stata allestita una singolare esposizione proveniente da Gaza che catapulta lo spettatore nella Striscia degli anni ‘50 e ‘70 del Novecento, messa in scena da un artista contemporaneo.
Black Movie Festival, a Ginevra
Alphaville 20.01.2025, 11:45
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