Cinema

Maria: il film sulla Divina con un’Angelina Jolie regale, intensa, cantante

Non su tutta la vita di Maria Callas si concentra Pablo Larraín, ma sul suo canto del cigno. La voce di una donna, gli anni di afonia e la lotta per tirarla fuori

  • 30 gennaio, 11:00
  • 7 febbraio, 09:01
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Angelina Jolie è Maria Callas nel film di Pablo Larraín

Di: Valentina Mira 

L’ultimo film di Pablo Larraín, il regista noto per le biografie d’autore (Jackie, Spencer, Neruda), si concentra sulla figura di Maria Callas assegnando il ruolo di protagonista ad Angelina Jolie. È un un film “character driven” (a trazione del personaggio principale) e lei, in effetti, lo conduce in maniera magistrale. Per chi ha seguito dagli albori il percorso di una delle migliori attrici viventi, Maria chiude il cerchio aperto con Gia, serie tv di qualche decennio fa; lì c’era un’Angelina molto giovane e si trattava di un’altra riflessione su fama e dipendenze, in quel caso della modella Gia Carangi.

L’unico difetto del film, incredibilmente, è l’incipit. Programmatico, sembra una crudeltà nei confronti dell’attrice: l’“Ave Maria” dura veramente un po’ troppo. Una prova dura ma ottimamente (e sorprendentemente) riuscita per Angelina Jolie, che conferma di saper fare in pratica qualunque cosa guadagnandosi per osmosi il soprannome di Maria Callas, Divina.

Di certo il film ha un effetto divulgativo: non tutti hanno l’opportunità di interessarsi di opera. Ma la storia non è su questo.

«Convivono due me. Una non si arrende l’altra…» e l’altra, com’è? Orribile, e le fa venire voglia di vergognarsi. La Maria Callas di Angelina Jolie è tutta nella tensione tra vita e morte, un tiro alla fune. Per tutto il film assistiamo a lei che flirta con l’oscurità. La fine. La follia. È una resa alla solitudine, all’assenza di alleati e amici, alle sostanze che annebbiano emozioni troppo forti, all’idea di meritare solo paradisi artificiali. E poi è una ripresa della lotta per la vita e per il ritrovamento della voce, cantare, cantare sempre, nonostante l’afonia cantare. Solo perché esisti, cantare. Rinunciando alla performance quando tutto il mondo si aspetta da te la performance, dato che sei Maria Callas.

«Non sono in grado di ascoltare i miei dischi», dice la Maria del film. Di solito questo è motivato dal fatto che non ci si riconosce più, e il divario tra la voce percepita e presente e quella passata e cristallizzata com’era è sufficiente a produrre un certo imbarazzo parente della vergogna. Ma non è questo il motivo per cui Maria non si ascolta, e se la obbligano si arrabbia. Non si ascolta perché quei dischi «sono perfetti, e una canzone andrebbe cantata in quel momento diversamente da tutti gli altri momenti». Un ragionamento da persona che all’ego sceglie la musica, a dispetto del personaggio creato sulla sua pelle da giornalisti senza scrupoli.

La musica è anche l’unico vero amore della Maria Callas del film. I rapporti con gli uomini non sono così positivi. Che tipo d’uomo vuole togliere la voce alla Divina? Risposta: il suo.

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"Maria" di Pablo Larraín

«Di chi sei innamorata?» viene chiesto a Maria-Angelina. E lei risponde: «Indovina. Brutto e morto». Risponde con fatalistica rassegnazione, come di chi ha già assegnato il posto con l’etichetta “amore della mia vita”, e da quel podio non si scende, non c’è tempo, non c’è modo e soprattutto non c’è sostituto che tenga. Forse è solo romanticizzazione di qualcosa che si credeva più speciale del resto. Insomma: l’amore in questione è quello con Aristotele Onassis, il magnate, uno a cui Luigi Mangione avrebbe sparato volentieri. Lo stesso che non la sposerà, che sposerà invece Jacqueline Kennedy (su cui c’è un altro film di Larraín, Jackie).

«Perché non l’ha sposata?»

«Perché sapeva che non poteva controllarmi». E chissà se è vero, poi. Quello che emerge dal film è che di quel rapporto soffrì, e molto. Forse è meglio che certe donne restino gli uccelli che sono: libere, e che cantino. Il rischio di un furto di voce è troppo alto. Per non parlare delle gabbie spacciate per case.

C’è molto altro dall’amore e la voce, in Maria. C’è il rapporto con le sostanze e la propria immagine, e torna in mente Amy Winehouse, morta bevendo da sola e guardando un filmato di un suo concerto. Giudicandosi, chissà. Ché ci sono tanti modi diversi di annegare, in fondo.

Ci sono i rapporti con pezzi di famiglia. La madre, la sorella. L’ultimo incontro con la (problematica) genitrice è raccontato, non messo in scena. «Io ti ho messa al mondo perché potessi badare a me», le avrebbe detto. Un narcisismo talmente esplicito da far quasi tenerezza. Quasi.

La sorella le dice, invece: «Non scrivere della tua vita, ma se lo fai sii buona con te. Perché io ero con te ad Atene», era lì, le dice, quando la madre le diceva di scegliere tra prostituirsi o cantare per i soldati nazisti. Da certi traumi le anime si riprendono con dolore e fatica, e a volte non si riprendono nemmeno: diventano altro. Il consiglio della sorella di scrivere di sé solo se trattandosi con bontà è ottimo. Non è mai troppo tardi per ricordarlo a chi è stato già trattato con cattiveria dagli altri: non è colpa tua. Una frase che sa ancora far piangere.

Angelina Jolie in Maria è regale, è la personificazione della carta dei tarocchi dell’Imperatrice. È il vero punto di forza del film: non la sceneggiatura né la fotografia; lei. Il canto del cigno che mette in scena si sente nel corpo, è bello, è struggente, è il suono di un silenzio troppo a lungo trattenuto. Non va giudicato perché le esplosioni - almeno quelle che non feriscono - non vanno giudicate.

Probabilmente l’interpretazione di Angelina Jolie è così sorprendente perché, come ha raccontato a Hollywood Reporter, ne sa qualcosa di afonia. Più che di afonia come problema fisico, come problema psicologico. «Sai quando qualcuno ti dice che non sai cantare?», racconta nell’intervista. Fa capire, poi, che quel qualcuno non è neanche importante oggi per lei, ma che quella frase in quel momento aveva avuto un effetto mortifero. «Avevo perso la mia voce. Non conoscevo la mia voce». Ora la conosciamo tutti. Il senso del silenzio lo capisci quando arriva il tempo del rumore.

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