Giunta alla seconda stagione Severance si conferma nuovamente come una delle serie più interessanti degli ultimi tempi. Ideata da Dan Erickson e diretta in gran parte da Ben Stiller, la serie ha debuttato nel 2022 su Apple TV+ catturando da subito l’attenzione del pubblico e della critica grazie a un’estetica d’impatto e alla sua inquietante riflessione sulla società moderna.
La premessa di base della serie è quanto semplice quanto potente: in un futuro distopico la Lumon Industries offre ai suoi dipendenti la possibilità di essere severed (ovvero scissi) al fine di separare il vissuto sul posto di lavoro da quello della propria vita personale. Questo processo, chiamato “scissione”, avviene all’inizio del turno lavorativo e si inverte all’orario di chiusura, creando così due entità distinte all’interno della stessa persona: un outie (esterno), che vive al di fuori dell’ufficio e non ha memoria di quello che svolge al lavoro, e un innie (interno), la cui esistenza è internamente confinata tra le mura aziendali. Un’idea apparentemente rivoluzionaria, ma che nasconde implicazioni agghiaccianti sulla natura dell’individuo e sull’alienazione nel mondo del lavoro.
Alienazione e Lavoro: l’ufficio come prigione
Come per ogni serie distopica d’impatto, più la realtà proposta è simile e vicina alla nostra più questa avrà una risonanza maggiore con lo spettatore. La realtà lavorativa della Lumon infatti di fantascientifico ha ben poco, anzi, descrive in modo satirico e pungente la realtà di molte compagnie. Qui gli impiegati incarnano perfettamente la condizione di chi è ridotto a semplice ingranaggio di una macchina produttiva, immersi in un loop senza fine di attività apparentemente prive di significato. Ecco quindi il tema dell’alienazione lavorativa che in Severance viene rielaborato in chiave distopica con grande lucidità. Un tema che nella serie viene esacerbato attraverso il dualismo tra io interno ed esterno, un parallelismo inquietante con la realtà odierna di molti lavorati che si impongono una separazione mentale tra la propria identità privata e quella professionale, adottando comportamenti e atteggiamenti diversi in base al contesto lavorativo. La scissione diventa così una metafora estrema di questo distacco: un distanziamento non solo psicologico, ma concreto e irreversibile, che porta la persona a vivere due esistenze separate che non si incontrano mai.
“Uniti nella scissione” il culto della Lumon
Se la scissione è la metafora ultima dell’alienazione su lavoro, la Lumon Industries rappresenta una grande allegoria della profusione del diktat aziendale che cerca di instillare negli impiegati una ceca obbedienza verso l’azienda e una sottomissione ai dettami di produzione dove quello che conta è portare a termine l’incarico. Gli impiegati, appiattiti sul lato umano, diventano dati, e il loro operato viene valutato secondo criteri puramente numerici.
La cosiddetta corporate policy si eleva a vero e proprio culto alla quale i dipendenti devono aderire. E quale modo migliore di farlo se non avendo a disposizione del personale privo di distrazioni e influenze esterne: gli innie, un guscio vuoto pronto alla lobotomia.
La scissione dell’Io: una “soluzione” agghiacciante
A prima vista, la scissione potrebbe sembrare la risposta ideale al disagio lavorativo: eliminare lo stress dell’ufficio dalla propria vita personale, senza più preoccuparsi di orari, responsabilità o conflitti. Ma la realtà che Severance dipinge è ben più cupa.
Se l’esterno infatti sembrerebbe avere una vita più tranquilla, l’interno, privo di memoria esterna, è condannato a una routine infernale di pura operatività, privo di uno scopo che vada oltre il lavoro stesso. Il suo unico orizzonte esistenziale è l’ufficio, e ogni sua esperienza è ridotta a una ripetizione perpetua di giornate identiche. È la schiavitù definitiva, un’esistenza senza alternative, senza libero arbitrio e senza speranza di evasione poiché l’innie è soggetto senza replica alla volontà dell’outie.
Ma la serie va oltre e solleva una domanda ancora più profonda: cosa significa davvero essere sé stessi? Quali conseguenze emergono se si divide il proprio io? In questo senso lo show mette in risalto il contrasto di un’entità apparentemente integra che, in contesti diversi, può sviluppare comportamenti e convinzioni morali differenti; portandoci così a chiederci quale dei due sia il “vero” io.
Una struttura narrativa che aliena lo spettatore
Anche sul piano narrativo, Severance adotta una strategia che riflette perfettamente il suo tema centrale. La serie procede con una lentezza calcolata, immergendo lo spettatore in un mondo surreale colmo di domande senza risposte. Questa struttura diventa a sua volta un’esperienza alienante: come gli impiegati della Lumon, lo spettatore è costretto a procedere alla cieca, accettando una realtà bizzarra e sottomettendosi a una narrazione che gli rivela solo frammenti di verità. Il risultato è un senso di straniamento condito da frustrazione e incertezza che amplifica l’impatto filosofico della serie, trasformandola in un’esperienza meta-riflessiva.
Attraverso una regia di qualità, un cast azzeccatissimo e un’estetica d’impatto, Severance mette in scena un incubo che attinge alle dinamiche già esasperate dalla società attuale. Il risultato è un monito contro l’alienazione lavorativa e il propagarsi di ideologie e pratiche come il culto della produttività e l’appiattimento dell’individuo. Sì perché, il vero orrore, non è la scissione in sé, ma il fatto che il mondo della Lumon non è poi così distante dal nostro. Non serve un’operazione chirurgica per essere alienati dal lavoro: in molti casi, ci siamo già scissi da soli.
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