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Those about to die, la serie sui gladiatori con Anthony Hopkins

Panem et circenses: la realtà raccontata in 10 puntate su Prime non è lontana da quella attuale. E forse non è un caso che a ragionare di impero siano gli Stati Uniti

  • Ieri, 08:00
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Those about to die

  • Prime
Di: Valentina Mira

Dal 19 luglio su Amazon Prime c’è una nuova serie con Anthony Hopkins, Those about to die. Il titolo è traducibile con “Morituri”, “quelli che stanno per morire o quelli che vanno a morire”, perché è tratto dall’espressione attribuita ai gladiatori rispetto all’imperatore, “morituri te salutant”.
Chi sono i morituri della serie, dieci episodi di circa un’ora ciascuno?
I gladiatori, certo, ma non solo.

La prima stagione è corale, e segue varie vicende: quella dei due aspiranti al trono, i fratelli Tito e Domiziano; quella di Tenax, ambizioso e appunto tenace gestore di scommesse truffaldine con un passato di povertà e sangue; quella di altri tre fratelli, gli iberici allevatori di cavalli che infine diventano guidatori di carri per le competizioni con le aurighe, e diversamente da Tito e Domiziano (degni eredi di Romolo e Remo quanto a odio fraterno) si vogliono genuinamente bene e sono portatori sani di affetto tra simili; e poi quella degli schiavi, nello specifico una famiglia della Numidia - madre, due figlie e un figlio - che riscriverà la sua storia, capovolta dal destino e dal desiderio di una sorella di salvare la seconda da uno stupro da parte di un soldato.

Il tema di Those about to die è riassumibile con “panem et circenses”, e coglie quel momento storico in cui il popolo era distratto dall’élite tramite questi due elementi, il grano elargito gratis e i giochi. Gli echi sono sì del Gladiatore, ma soprattutto di Hunger Games e di Game of Thrones. Il modo in cui è raccontata questa storia è attuale e sembra tenerci a lasciar intendere un parallelo col presente. Gli eccessivi entusiasmi popolari per i giochi con carri, leoni e gladiatori nell’appena costruito Colosseo non risultano affatto fuori dal tempo, soprattutto se paragonati a ciò che ancora succede, proprio a Roma ma non solo, con il calcio. Il focus sulle scommesse è parte di questo confronto con l’oggi.

La serie risulta godibile e ragionata per piacere. È noto il trend nato su TikTok per cui si domandava agli uomini “quante volte al giorno pensi all’impero romano?” ottenendo risposte sorprendenti: a quanto pare, il “Roman empire” sarebbe pensiero fisso di parecchi ragazzi e adulti, con l’unico discrimine del genere. Il pubblico, dunque, c’era e c’è. Coerentemente con questo trend, però, anche la narrazione di Those about to die è fortemente maschio-centrica. Le donne rappresentate si dividono per lo più tra prostitute e madri, con rarissime eccezioni in grado di non corrispondere a stereotipi e di non essere meramente funzionali a una trama che vede i suoi veri protagonisti negli uomini. Uomini che lottano per il potere, per sopravvivere, per uccidere un leone o esserne sconfitti, per arricchirsi.

Un altro punto ambiguo della serie è la sua accuratezza storica, ma va detto che è tratto da un libro (l’omonimo romanzo di Daniel P. Mannix), a sua volta fantasioso. Anche la zoologia risente dell’impianto metaforico scelto: si dice che i lupi, come i romani e diversamente dagli altri animali e popoli, uccidano per il piacere di farlo. Tanti i punti che farebbero storcere il naso a uno storico, altrettanti a un romano di oggi. L’indicazione del porto di Ostia come Ostia Harbor è di certo adatta a chi non conosca Ostia, e magari viva a molti chilometri di distanza, ma per gli eredi dei romani sfiora il meme (chi ci va sporadicamente la chiama, con ironia, Ostia Beach).

Il punto forse più problematico è quello che riguarda l’eruzione del Vesuvio. La vicenda inizia nel 79 d.C., proprio l’anno in cui Pompei e Ercolano furono sommerse di lava e lapilli, ma la rappresentazione dell’evento vede Roma stessa imprigionata dalla cenere, nonostante la troppa distanza. È una rappresentazione accurata di quanto successe o è solo frutto della visione approssimativa di qualcuno che ha dell’impero romano un’idea piuttosto vaga?

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Those about to die

  • Prime

Di nuovo, la storia si salva perché esplicitamente basata sulla fantasia, anche se un briciolo di accuratezza storica e geografica non l’avrebbe guastata, anzi.
Ci sono, però, molti punti a favore della serie. Il primo è il già menzionato parallelo col presente: tra corruzione e lotte intestine per il potere, scommesse e sport, popolo e élite, persone razzializzate che portano l’unica spinta rivoluzionaria in un equilibrio che davvero sembra rispondere al diktat “homo homini lupus”. Sempre uno di questi migranti ante litteram, che da cacciatore di leoni diventa gladiatore, sembra l’emblema di un concetto di cittadinanza basata sullo ius sanguinis che è mortifero e ricattatorio; quando lui vince, e vince e vince ancora, nel Colosseo, e ottiene il favore del popolo che propone di liberarlo, la riflessione è quella su quanto sia ingiusta una cittadinanza “guadagnata” con atti eroici. È qualcosa che succede ancora: si pensi al caso di Rami Shehata e Adam El Hamami, due giovani per cui si propose la “cittadinanza per meriti”. L’elemento spettacolarizzante del gesto eroico c’era anche in questo caso, l’ingiustizia di vedere la cittadinanza come un premio elargito dal popolo e concesso dai politici, pure.

Una nota, infine, positiva per gli attori italiani che sono stati coinvolti nel progetto e che sembrano perfetti per i loro ruoli. In particolare va citata Gabriella Pession, che era stata negli Stati Uniti per lavorare, ma è stato solo quando è tornata che l’America è venuta da lei, per questa serie girata per lo più a Cinecittà: lei interpreta Antonia, patrizia crudele e spregiudicata, e nel ruolo risulta molto convincente. Oltre a lei, da citare la giovane Romana Maggiora Vergano, già conosciuta in C’è ancora domani, il piccolo Federico Ielapi (era il Pinocchio di Garrone) e Alessandro Bedetti, l’amante di Domiziano, già nel Fabbricante di lacrime.

Il vero protagonista della serie è Tenax, cioè Iwan Rheon, che nel Trono di spade era Ramsey Bolton. Il cast è stellare e rende indimenticabile perfino Flamma, Martyn Ford, attore e body builder nella vita reale molto meno truce, qui gladiatore (quasi) imbattuto.
Un ultimo punto, sempre sull’accuratezza storica ma anche sulla rappresentanza, riguarda i due fratelli, Tito e Domiziano. Nella realtà storica erano entrambi bisessuali, mentre qui si è scelta la semplificazione e una dicotomia che lascia interdetti: Domiziano diventa omosessuale e Tito etero, e la problematicità sta nel fatto che Domiziano è visto come crudele e perverso, mentre Tito corrisponde allo stereotipo del guerriero, non particolarmente intellettuale ma buono, coraggioso. Per quanto il Domiziano interpretato da Jojo Macari in modo magistrale sia un personaggio molto più sfaccettato e interessante di Tito, la responsabilità autoriale vorrebbe che non si piegasse una realtà più serena sull’orientamento sessuale di quella attuale ai pregiudizi e agli stereotipi di oggi, che in questo caso risultano inutili gabbie.

Le critiche si riservano a ciò che vuoi veder migliorare, perché già ti piace: è questo il caso di Those about to die, di cui sarebbe bello vedere una seconda stagione.

Vivin la gita loca, Il pavone Pippo, La colonna sonora di Ellis

Non ci resta che... 10.06.2024, 13:00

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