Plinio Martini raccontò come nessun altro il mondo contadino e la sua trasformazione. Dopo due anni di malattia che lo tolsero alla vita pubblica e alla scrittura, si spegneva l’interprete più alto del mondo rurale ticinese, colui che Padre Pozzi salutò come lo scrittore che seppe incarnare “nel modo più autentico, non eguagliato da nessuno in Italia, la cultura popolare, evocando in modo minuzioso la parte che la pietà cristiana ebbe nella coscienza collettiva di un popolo”.
Incontro con Plinio Martini
RSI Cultura 06.01.2024, 09:12
Nato il 4 agosto 1923 a Cavergno, Martini fu maestro di scuola. Nel paese valmaggese trascorse l’intera sua esistenza, ingaggiandosi nella vita sociale e culturale. Ascoltando le storie dei montanari e delle contadine della Vallemaggia, Martini capì che in quel patrimonio di vicende umane c’era un serbatoio letterario che andava esplorato e cui andava data una voce. Una voce che non poteva essere quella dell’idillio alpestre, usata da Zoppi: troppo petrarchesca, artificiale, estetizzante. Occorreva una voce più vera, pulsante, che sapesse descrivere le fatiche della civiltà rurale: “una civiltà rude, e tuttavia gentile, nata in condizioni ambientali durissime, dove la fatica di vivere era al limite della sopportazione umana”.
Ritratto di Plinio Martini
RSI Cultura 25.07.1978, 10:32
Per rendere giustizia alla vita di montagna non bastava descrivere le “vette diafane” e il fresco canto degli “uccelletti”, come fece l’illustre precursore di Broglio. No, Martini inseguiva una voce che si facesse portavoce non solo della bellezza ma anche delle fatiche della vita vallerana. E questa voce la trovò prestando un orecchio alle narrazioni popolari, agli archivi storici ed etnografici, alla memoria contadina, e l’altro ai grandi esempi di realismo letterario che venivano dall’Italia, a cominciare da Manzoni e Verga per arrivare a Pavese e Fenoglio, su su fino a Gadda.
Nacque così Il fondo del sacco (1970), opera impregnata di passione civile, che racconta il fallimento di un'illusione collettiva: l'illusione, nutrita sin dall'Ottocento da migliaia di emigranti ticinesi, di trovare fortuna oltreoceano. Attraverso la vicenda del giovane minchione Gori, emerge uno spaccato della vita agra di valle, tra amarezza e pietas. E nella distanza, la nostalgia di un paese perduto che assume una dimensione mitica.
Intervista sui dialetti della Vallemaggia
RSI Cultura 25.07.2019, 10:33
L'idea di un paese perduto, di una realtà contadina (insieme culturale e religiosa) in disfacimento, costituisce il nucleo tematico del secondo romanzo di Martini, il suo capolavoro, Requiem per zia Domenica. Il libro racconta la vicenda sensuale fra Marco e Giovanna, vicenda frustrata dalla rigida morale di zia Domenica, fondata sulla paura del peccato, della morte e del giudizio divino. Il romanzo mette a confronto una religiosità arcaica, a tratti retrograda, eppure vivida, sincera, con la sua lenta dissoluzione; e allo stesso tempo descrive l’agonia della civiltà alpina, per secoli immobile, in procinto di essere travolta dalla società del consumo e degli affari.
In Requiem per zia Domenica il racconto non è più in prima persona (come lo era ne Il fondo del sacco, dove il povero Gori si confessa, vuotando il sacco) ma in terza persona e il protagonista è un uomo colto che guarda al mondo con distacco ed esprime le sue opinioni. Non è difficile scorgere dietro a questa figura lo stesso Martini, non solo per lo stile che viene usato (ricercato, a tratti iperletterario, con un gusto espressionistico che sfocia nel grottesco, sul modello gaddiano) ma anche per la vis polemica che impregna le sue riflessioni.
La vita e l'opera
RSI Cultura 25.07.2019, 11:32
Gli obiettivi di questa vis polemica coincidono difatti con i due grandi j’accuse che Plinio Martini espresse non solo nella sua produzione letteraria, ma anche in articoli di giornale o in interventi pubblici: da un lato contro l’istituzionalismo religioso (da non confondere con lo spirito religioso, di cui Martini fu pervaso) e contro il mito del progresso (in nome del quale la politica locale stava svendendo le risorse idriche della valle).
In questo senso Martini (come ebbe modo di evidenziare Ilario Domenighetti, curatore degli Interventi pubblici di Martini raccolti sotto il titolo Nessuno ha pregato per noi) è stato un precursore di quella che oggi viene definita “sensibilità ambientalista o ecologista”, ergendosi a difensore delle componenti naturali della montagna (la pietra, i fiumi, i laghi, i fiori, ecc.) e culturali (architettura rurale, vie di comunicazione, agricoltura alpina, civiltà rurale). Di fronte ai ciclopici lavori idroelettrici che hanno interessato la Vallamaggia a partire dagli anni Cinquanta, Martini ha assunto il ruolo del grillo parlante, mettendo in guardia sui rischi e gli scempi territoriali che il progresso (cui la Valle interamente si votava dopo anni di stenti e miseria) avrebbe generato.
Dibattito attorno a Plinio Martini
RSI Cultura 25.07.2019, 11:15
Contro il mito del progresso, Martini invocava il primato della natura, cui, a suo dire, occorreva dedicare un rispetto quasi religioso e a cui occorreva sempre tornare, per ritrovare il senso di un cammino, che sapesse unire gli avi ai posteri, l’io a Dio.