Letteratura

Il male paradossale

Jean Cocteau e i suoi ragazzi terribili nel mondo del sacro. La scoperta del lato oscuro e rivelatore dell’infanzia.

  • 7 marzo, 13:05
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Jean Cocteau

Di: Marco Alloni 

Il numero di romanzi che hanno trattato della crudeltà dei ragazzini – siano essi bambini o adolescenti – è piuttosto nutrito. Alcuni titoli vengono subito alla mente: I turbamenti del giovane Törless di Musil, Il Signore delle mosche di Golding, Dei bambini non si sa niente di Simona Vinci, Io non ho paura di Ammaniti e via elencando. Sono romanzi che spiazzano, se non altro perché violano il luogo comune secondo cui la prima età sarebbe per definizione un mondo di innocenza e candore.  

Niente di più falso. Bambini e adolescenti, assai più degli adulti – ce lo insegna la psicologia di Alfred Adler – sono portatori di istinti e propensioni, nonché di atti e atteggiamenti, che solo una certa retorica può nascondere all’evidenza. E la cronaca di questi anni ce lo ripete con frequenza angosciosa: molti efferati crimini sono compiuti da giovanissimi, come si va moltiplicando l’esistenza di vere e proprie gangs metropolitane sotto i sedici anni.

Un dato e un fatto, quello della «crudeltà» infantile, che ci mette al cospetto di sfide intellettuali immense. Per esempio obbligandoci alla domanda: da dove nasce il male? E ancora più perentoriamente: quale disposizione al male è connaturata all’essere umano? Che in una prospettiva analitica equivale a: siamo proprio sicuri che l’etica del bene alligni naturalmente nel bambino?

Purtroppo o per fortuna i libri menzionati, come tutta la trattatistica in materia, e dulcis in fundo la consapevolezza delle madri e dei padri di trovarsi spesso di fronte a veri e propri «mostri» o «mostriciattoli», ci dimostrano il contrario.  

Detto questo ricordiamoci che nel male – si pensi alla Letteratura e il male di Bataille – è sempre un orizzonte di fascinazione che, dai Fiori del male di Baudelaire in avanti, non ha mai smesso di alimentare le riflessioni degli scrittori. Nemmeno quando si tratta di quel «male paradossale», come lo potremmo definire, che è il male infantile, che procede direttamente dal mondo della sedicente innocenza puberale.

Un mondo che il genio di Jean Cocteau ha sviscerato come forse nessun altro. E che nel romanzo I ragazzi terribili trova probabilmente una delle rappresentazioni più spregiudicate.

Romanzo semplice e complesso in pari tempo, provvisto di una grana stilistica tra le più sopraffine, I ragazzi terribili è un autentico ritratto di quello che abbiamo chiamato il «male paradossale». Non solo perché ci racconta delle soperchierie dei giovani ragazzini di cui narra, ma perché nelle loro malefatte, in quel «male paradossale», egli individua tali e tanti elementi di fascinazione da rendercelo addirittura ammirevole. Sì, il male può essere ammirevole: da Sade a Genet ha affascinato intere generazioni di scrittori.

Ma Cocteau compie un’operazione ulteriore: ci conduce dove la morale è perfettamente rimpiazzata dal «sacro». Che, come i teologi sanno bene, non ha nulla di necessariamente etico.  

Questa infanzia a cui abbiamo alluso, della quale «non si sa niente», è tuttavia anche segreto, mistero e nascondimento. E nel romanzo I ragazzi terribili lo scrittore lo mostra in maniera perfettamente limpida, per quanto tracciando il proprio racconto su una linea di ambiguità quasi indecifrabile.

Libro strano, facile ma complicato, I ragazzi terribili narra la vicenda di alcuni giovanissimi studenti parigini che si ritrovano a convivere sotto l’egida di uno strano «gioco» di cui, lungo gran parte del romanzo, non si riesce a intuire i lineamenti. Ma che rappresenta qualcosa che si muove idealmente all’interno delle loro vite, e delle loro menti, come una sorta di patto iniziatico.

In cosa consiste in «gioco» e il «tesoro» che porta con sé? Consiste forse nello sfidare le convenzioni della vita adulta, morale, istituzionale e scolastica a cui sono obbligati? O nel convivere piuttosto dentro una stanzetta, fratello e sorella, Paul ed Elisabeth, sotto la pressione e l’incitazione dei loro fantasmi, nel disordine fatto principio, nella riluttanza a esprimere fino in fondo ciò che realmente sentono e vogliono? Oppure il «gioco» è ancora più sottile e complicato, e può essere decifrato soltanto penetrando nell’intimo della loro esistenza animica, del loro spirito in contraddizione con il mondo?

La risposta è nella parola «sacro». I ragazzi terribili hanno capito che soltanto vivere al di sopra delle leggi è... sacro. E a questo patto con la sacralità – a questo sacrificio in nome della sacralità – non intendono derogare, dimostrando così che il vero motore dell’esistenza è qualcosa – appunto il «sacro» – che ci sovrasta. E di cui l’infanzia è il ricettacolo o lo sconvolto veicolo.

Cocteau stesso, a proposito di questo paradosso di essere nella colpa, affinché la colpa si riscatti dalla sua natura convenzionale o sociale, utilizzò l’espressione «innocenza criminale». Poiché appunto questo è il «sacro», essere nella contraddizione, aldilà del bene e del male. E se Cocteau, anche in fase di stesura del libro, lo assaporò avvalendosio della droga, i ragazzi terribili lo assaporano soprattutto attraverso oscuri rituali nella cui colpevolezza vibra un’inviolabile innocenza.

Quale lezione e quale morale, allora, per chi voglia circoscrivere l’infanzia in una terra dell’apprendimento, quando, molto più preotentemente, essa è terra di quel «sacro» che l’età adulta smarrisce sulla strada della morale, delle leggi e della razionalità civile? Semplicissimo: non fidatevi dell’innocenza. Ma soprattutto non dimenticate che la nostra più intima natura si esprime sacralmente.

10:28

Jean Cocteau a Venezia 

Alphaville 04.06.2024, 11:30

  • © Philippe Halsman / Magnum Photos guggenheim-venice.it
  • Marco Pagani

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