Letteratura

Una lingua che è una casa

La memoria, il dolore, la scrittura, la lingua. Elvira Dones e il suo Vulcano di ricordi della dittatura in Albania

  • Ieri, 08:44
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Elvira Dones, Festate Chiasso, 2000

  • Tipress
Di: Red 
Mi dico spesso, tra una conversazione qualsiasi e un’altra, che alla fine dei miei giorni rimarrò senza una lingua. Non scherzo. Il mio cervello ormai va per conto suo, mettendomi a volte in imbarazzo, tipo non so se una certa espressione in italiano, è troppo lunga. Il mio cervello va a pescare un sostantivo o un verbo della lingua madre, l’albanese, oppure dall’inglese o dallo spagnolo e così via. Insomma, quando parlo il cervello non sempre mi obbedisce. Da qui dunque il timore che da vecchia rimarrò senza una lingua. E la lingua è casa.

Elvira Dones

«La mia casa dov’è?»
È la domanda che, trentasei anni dopo aver lasciato il suo paese, Elvira Dones si pone in apertura di Vulcano. La scrittrice albanese, svizzera di adozione, è autrice di diversi romanzi tra cui Vergine Giurata (Feltrinelli, 2007) – romanzo dal quale nel 2015 è stato tratto il film omonimo di Laura Bispuri – e del recente La breve vita di Lukas Santana (La Nave di Teseo, 2023).

Nata nella cittadina costiera di Durrës (Durazzo), dopo aver trascorso sedici anni nella Svizzera italiana si trasferisce negli Stati Uniti, per poi fare ritorno in Svizzera nel 2015. Scrive in albanese e in italiano. Nei suoi romanzi ritorna spesso sul suo passato, sui trascorsi della dittatura comunista nel paese dove è cresciuta.

Eravamo i più fortunati di tutti. E io ci credevo fino a quando, un mattino di una domenica qualunque, nel nostro quartiere arrivano una jeep e un camion militare venuti a portar via la famiglia di una ragazza di una classe parallela alla mia. Ricordo che gli abitanti del quartiere osservarono la scena ammutoliti. Il papà della mia compagna di scuola sparisce nella jeep cinese. In manette la moglie e i due figli su una seconda camionetta

Elvira Dones

Nel racconto di Elvira Dones la sua memoria, il suo vissuto, la sua storia incrocia la Storia con la S maiuscola, quella delle manifestazioni studentesche in Albania. Manifestazioni iniziate nel 1989 quando la popolazione cominciò a scendere in piazza chiedendo la demolizione della statua di Stalin e terminate con la caduta del regime comunista.
Nel luglio 1990, mentre lei è in Ticino, in Piazza Grande a Locarno per un concerto di Francesco de Gregori, gli albanesi prendono d’assalto le ambasciate straniere a Tirana. Il regime non è ancora caduto, ma è agli ultimi respiri. Sono a migliaia gli albanesi che scavalcano i recinti delle ambasciate occidentali della capitale d’Albania. «Un popolo che per 47 anni ha subito la dittatura comunista più feroce d’Europa non è più disposto ad aspettare, saltando oltre le recinzioni delle ambasciate occidentali. Questo popolo ora esigi libertà.»

Poi gli anni trascorsi negli Stati Uniti, dal 2005 al 2014. A Washington D.C. e in California, sulla baia di San Francisco. E il passato torna, i ricordi si riaccendono, come un vulcano mai sopito.

All’aeroporto di Dallas a Washington, D.C.. “Welcome home mom”, mi disse il giovane doganiere. “Benvenuta a casa”. Ma la casa dov’era? Dov’è? Eccomi qua. Alla fine, se avessi elencato tutti i poeti e gli scrittori imprigionati e massacrati nelle prigioni politiche, nei campi di lavoro, i fucilati e gli impiccati nei 47 anni della dittatura mi sarebbe toccato scrivere un romanzo. Più che un Vulcano, un Inferno. Ma è un vulcano lo stesso, un vulcano che non dorme mai. Una lava di profondo rispetto e gratitudine per tutte le anime. 

Elvira Dones

28:17

Elvira Dones - “Albanese”

Vulcano 26.10.2024, 16:02

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