Non è singolare che molti importanti scrittori della modernità siano scrittori ebraici. L'ebraismo assomma infatti in sé elementi che sono caratteristici proprio della letteratura in quanto tale.
Innanzitutto è una religione ancorata ab origine al Logos: «Da principio era il Verbo» si legge nel Vangelo di Giovanni «e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio». Una religione dunque costituzionalmente della parola, della reificazione del mondo attraverso la parola: Man gave names to all the animals, recitano i versi dell'ebreo Bob Dylan.
Ermeneutica, esegesi, interpretazione, scandaglio semiologico. Sono anche questi il portato essenziale dell'insieme dei testi che compongo quella fittissima rilettura della Torah che è il Talmud, altro patrimonio essenziale dell'ebraismo.
Ma tipicamente ebraico è anche un altro dato, per così dire, congenito alla letteratura: lo spirito del dubbio. Il quale, laddove portato alle estreme conseguenze, ha dato origine a un aspetto che, da Cervantes in poi lungo tutta la modernità, ha segnato i destini della letteratura occidentale: il senso dell'umorismo. Non prendersi troppo sul serio è uno dei codici della modernità, la quale, secondo Kundera, nascerebbe appunto dalla «risata di Dio». E se l'ebreo Kafka, secondo alcuni, sarebbe un maestro assoluto del comico, l'ebreo Freud è senza dubbio il teorizzatore indiscusso del Witz, il motto di spirito.
Terzo elemento che caratterizza alla radice tanto l'ebraismo quanto la letteratura è il sentimento profondo della Storia. Come l'ebraismo è consustanziale alla Storia del popolo eletto, così la letteratura è debitrice di tutto ciò che in qualche misura è racconto del tempo e nel tempo, narrazione delle vicende umane. Non a caso – come ci ricorda Moni Ovadia – una delle peculiarità dello spirito ebraico sono le cosiddette «storielle», ricostruzioni spesso comiche dell'esistente, a metà tra apologo e barzelletta, che hanno saputo mettere in crisi persino la stessa sacralità di Yaweh.
E siamo al quarto punto: ebraismo e letteratura inclinano spesso alla derisione, alla desacralizzazione. Per quanto ispirate a un sentimento di fede, cedono volentieri alle ragioni dell'umano, confinando il «sacro» nel recinto del fanatismo e riabilitando, tanvolta ai limiti del grottesco, le priorità dell'individuo.
L'ebraismo nasce poi come religione di «razza» e storia di minoranze, nonché – come tragicamente sappiamo – come storia di persecuzioni. E anche questo è un dato che la letteratura ha sempre conosciuto sulla propria pelle: come molti ebrei, numerosi scrittori hanno dovuto subire la condanna del proprio isolamento e dell'ostracismo. E come molti ebrei, hanno dovuto pagare gli strali del pregiudizio. Essere minoranza è sempre stato, dacché l'uomo è dotato di parola, una forma di involontario avanguardismo intellettuale.
Così ecco che un vasto stuolo di geni assoluti della modernità sono autori ebrei: da Kafka a Joseph Roth a Singer e via elencando. E fra i più eminenti scrittori dei nostri tempi vanno annoverati giganti della letteratura israeliana, guarda caso «ironici» e «minoritari» quanto basta per essere ostili alle politiche di destra dei governi di Tel Aviv: Amos Oz, Abraham Yehoshua e David Grossman tra gli altri.
Si può dunque avere più o meno simpatia per la storia ebraica e le sue mille contraddizioni, si può sostenere la causa palestinese e avere in uggia il sionismo. Ma non si può sottacere che il pensiero occidentale degli ultimi secoli è talmente debitore dello spirito ebraico da esserne, per così dire, una sorta di erede.
Uno dei premi Nobel mancati di questi ultimi anni, l'ebreo Philip Roth, è stato tra i testimoni indiscussi della nostra epoca. Primo Levi ci ha fornito forse il massimo capolavoro sui campi di sterminio nazisti. Imre Kertezs ci ha raccontato la prigionia di Auschwitz dalla prospettiva dell'irrisione del carnefice e della capacità dello spirito di sopravvivere alle angherie. E molti altri ci ricordano, malgrado il sempreverde antisemitismo che aleggia per l'Europa, che senza ebraismo non avremmo avuto la letteratura di cui ci vantiamo. Che senza l'ebraismo, forse, non ci sarebbe stata nemmeno modernità.
Letteratura ed ebraismo: approfondimenti radiofonici (M. Alloni)

Contenuto audio
Erri de Luca e la cultura yiddish
Blu come un'arancia 25.12.2017, 10:35
Gershom Scholem e la mistica ebraica
Blu come un'arancia 26.12.2017, 10:35
Claudio Magris sulle tracce di Joseph Roth
Blu come un'arancia 27.12.2017, 10:35
Moni Ovadia
Blu come un'arancia 28.12.2017, 10:35
Amos Luzzato
Blu come un'arancia 29.12.2017, 10:35