“Nel Ventesimo secolo non c’è nessuno come lei, su nessuna delle due sponde dell’oceano Atlantico”. Parole di Mark Bosco S.J., che a Washington insegna nei dipartimenti di Inglese e Teologia e che a Flannery O’Connor ha dedicato un premiato documentario apparso nel 2021. Ma non serve attraversare l’oceano per rintracciare i sudditi di questa singolare creatura apparsa 100 anni fa in un ordinario, affatto speciale pezzettino di terra della Georgia, Stati Uniti. Il climax la sua vita lo espresse che Flannery aveva appena 5 anni: quando tentò di far camminare una gallina all’indietro, alla maniera di Michael Jackson. E ci riuscì.
Nell’universo italofono non si contano gli scrittori che la venerano, e che a lei hanno dedicato studi: da Ottavio Fatica a Marco Missiroli, Christian Raimo, Davide Rondoni, Marisa Caramella, Antonio Spadaro. E com’è che però questo nome, Flannery O’Connor, suona un po’ di nicchia? Sarà perché non va più di moda leggere prosa partorita da un’immaginazione profondamente imbevuta di teologia? Eppure, leggendo i suoi racconti, tutto si può incontrare fuorché la noia: ci sono scene che farebbero rosicare il più efferato degli sceneggiatori di film horror. Balordi, assassini, nonne pistolere, alcolizzati travestiti da santoni, banditi con la Bibbia in mano. I personaggi che la O’Connor – morta vergine e ad appena 39 anni – ha rovesciato nella vita dei suoi lettori sono un mix tra quelli filmati da Quentin Tarantino e John Huston (vi ricordate Vincent Vega di Pulp fiction? E Gli spostati di Houston? Ecco, siamo lì).
La cosa che più disorienta di lei è l’imprevedibilità; perché cosa ci si potrebbe aspettare da un’autrice cattolica cresciuta a pane e Ave Maria? Non certo di trovare tra i suoi fan Bruce Springsteen e Nick Cave; tra gli scrittori, Raymond Carver e Elizabeth Bishop.
Intorno a lei, che leggeva Dante, Tommaso d’Aquino e Santa Caterina da Genova - ma anche Martin Heidegger – Margherita Coldesina ha scritto e diretto un radiodramma in due puntate. Per festeggiarne i 100 anni dalla nascita, Rete DUE propone uno spassoso viaggio all’indietro nel tempo: in quel “caro vecchio lurido Sud” dove la O’Connor è cresciuta e dove ha ambientato tutti i suoi racconti. Attraverso un commosso, ma divertito elogio funebre, il radiodramma ripercorre l’infanzia, i lutti, gli anni della formazione e dell’emancipazione dai continui rifiuti editoriali rifilati alla O’Connor. Un discorso scheggiato da episodi di vita vera, un itinerario insieme quotidiano e universale che Coldesina ha immaginato in bocca a uno dei poeti più apprezzati negli Stati Uniti, amico e mentore di Flannery: il due volte premio Pulitzer Robert Lowell. Il quale scrive a tentoni, segregato – come spesso accadeva – in manicomio; tra ronde di infermiere impiccione, due dita di whisky e flaconi vuoti di Valium. Da un lato il morso della malattia mentale del narratore-Lowell incaricato di ricordare l’amica defunta, dall’altro l’irriducibile appetito per la vita di O’Connor, scomparsa il 3 agosto del 1964 a causa di una malattia, il lupus, che se l’è praticamente mangiata viva. Era nata in primavera, il 25 marzo del 1925: e allora celebriamola quest’autrice spigolosa dall’umorismo al vetriolo, questa zoppa con l’apparecchio ai denti e le scarpe ortopediche. Una bruttina con un assurdo accento del Sud e la fissa dei polli, e che però si rivelerà essere una mistica, quella cosa che non ti aspetti. Flannery O’Connor non è meno sorprendente di un asino che ci appaia volando e, perché no, parlando in rima.
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Autoritratto con pollo (1./2)
Domenica in scena 16.03.2025, 17:35
Autoritratto con pollo (2./2)
Domenica in scena 23.03.2025, 17:35