Quando il 29 agosto del 1994, trent’anni fa, esce nei negozi Definitely maybe, l’album d’esordio degli Oasis, la band dei fratelli Gallagher è già un fenomeno globale, la next big thing ‒ si sarebbe scoperto poi: una delle ultime ‒ del rock mondiale. Eppure le premesse sono tutt’altro che banali: l’album esce per un’etichetta indipendente, la Creation Records, la registrazione è stata un tormento (“Non possiamo chiuderlo qui e pensare già al prossimo”, aveva sbottato a un certo punto Noel) e a primavera non c’era ancora neanche un singolo. Il debutto sarebbe stato con Supersonic, ad aprile, con le curve lente che riprendevano gli stilemi inglesi di sempre, dai Beatles agli Stone Roses, su cui sembrava essere stato detto tutto, e invece per una specie di sortilegio evidentemente c’era ancora tanto da dire. Soprattutto, era successo tutto in fretta, e in maniera, sulla carta, inaspettata.
Un viaggio speciale attraverso le storie leggendarie della musica rock con AC/DC, Jet, Pink Floyd, Oasis, Sex Pistols, Eagles, Heart e tanti altri
Classic Rock 02.06.2024, 14:00
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D’altronde Kurt Cobain è appena morto, la scena grunge agli sgoccioli e il Regno Unito sta per tornare centrale nello scacchiere musicale. Ma gli Oasis segnano subito qualcosa di più della cool Britannia, del brit pop e in generale di un movimento dall’alternative, di qua e di là dall’Atlantico, si sta prendendo tutto. Nessuno, all’epoca, legge Supersonic come una canzone profetica, neanche i Gallagherì, che però già a ottobre avrebbero minacciato di finirla lì dopo un concerto andato male perché Liam aveva assunto troppa ketamina. E invece è già tutto scritto: stanno per arrivare in cima a velocità supersonica, e altrettanto rapidamente si bruceranno; a loro, che in sala prove hanno una foto di Phil Collins per ripetersi che se tra due anni in vetta alle classifiche ci sarà ancora lui, sarà un fallimento, va anche bene così.
Il mito degli Oasis ‒ dallo scioglimento, nel 2009, all’inaspettata reunion annunciata in questi giorni ‒ poggia infatti sui primi due dischi, Definitely maybe e (What’s the story) Morning glory? (1995), con Wonderwall e Don’t look back in anger, che come racconta il documentario Supersonic (2016) descrivono una storia a metà tra classe operaia in paradiso e pulp movie. Be here now (1997) segnerà l’inizio del declino, gli altri vivranno di rendita, nella parabola delle rockstar borghesi in preda a vizi e problemi personali. I primi no, ma se (What’s the story) Morning glory? è il loro modo di entrare nel salotto buono del pop-rock, beatlesiano fino al midollo com’è, Definitely maybe racconta una vita ancora precedente, due fratelli dei quartieri popolari di Manchester che da una cantina, portandosi dietro lo sporco e la voglia di rivoluzione di quel mondo, scrivono un classico di rock alternativo, con una manciata di melodie già perfette. Definitely maybe è, in sintesi, gli Oasis in purezza, come non sarebbero più stati.
I personaggi sono già inquadrati: arroganti, teppisti da camere d’albergo e da pub, convinti di essere “la migliore rock band del mondo”. Ma non sono ancora macchiette, l’innesco non partirebbe senza le canzoni, su tutte quella Live forever uscita in estate che, con la struttura circolare e una melodia imponente, li lancia sul mercato, insieme a dei trucchi dalla Creation, come promuoverli su riviste di calcio e musica dance, convinti della vocazione popolare della proposta. La canzone, comunque, era nata nel 1991, dalla chitarra di Noel, da poco rientrato in Inghilterra dopo un’esperienza come roadie con gli Inspiral Carpets. Quando aveva saputo che il fratello minore, Liam, diciannovenne, aveva messo su una band, ci si era fiondato, diventandone il capo (da lì il soprannome, The Chief) e unico autore. Un giorno gli altri la sentono e restano sbalorditi: “Ma l’hai scritta tu?”. Quell’incrocio di armonie, quell’approccio operaio e sognatore, aveva lasciato intendere che potessero competere tra grandi, con un Liam con voce e presenza scenica già mature, che lo renderanno un simbolo dello stile casual e una delle ultime vere rockstar. Forse era l’autostima, forse la sfacciataggine. Ma se lo sentivano.
Il resto ‒ anche qui, per l’unica volta ‒ è pura fatica da debuttanti. I pezzi arrivano a pioggia, da Slide away alla stessa Supersonic, ma se la prova del tempo ne dimostrerà la forza anche con sole chitarra e voce, il punto lì è trovare la veste giusta, da rock band. Nel 1994 i provini passano per tre produttori, con in mezzo Noel a metterci bocca, che ne amplifica la potenza con strati su strati di chitarre, con la tecnica del cosiddetto overdubbing. È un disastro, le sessioni dissanguano le casse dell’etichetta, ma alla fine, smontando e rimontando tutto, l’ingegnere del suono Owen Morris trova la chiave. Esalta la potenza del muro di suono, la sinuosità di una manciata di melodie già ampiamente da stadio e la sensazione di sporco, come con il brusio di sottofondo di Cigarettes & Alchool, altro classico di puro indie-rock dell’album, insieme anche al sogno premonitore di Rock ‘n’ roll star, che non a caso apre il disco disponendone le coordinate. Il live di primo pomeriggio a Glastonbury, in estate, in mezzo ai novellini, è una prova di forza: gli Oasis sono pronti, la scalata è già finita, forse non serviva neanche.
Definitely maybe diventa un istant classic da dieci milioni di copie vendute solo fino al 2006, e soprattutto resiste al tempo come il mito dei suoi stessi autori, non solo per le canzoni ma anche per l’estetica, l’immaginario da teppisti, la copertina, la cultura british che incarna e il fatto che perfino le b-side sono capolavori. Insieme al successivo, già però sporcato dalla megalomania, rappresenta, ancora, la band in purezza, prima d’essere divorata da sé stessa e dal mondo. Ma non è tempo, qui, di rimpianti. Fu l’inizio, e l’inizio della fine. Come cantavano in Supersonic, “you can have it all, but how much do you want it?”, puoi averne tutto, sì, ma quanto ne vuoi? E Liam e Noel, nell’ultima grande storia rock della musica, se lo sono preso tutto, con un’eco che arriva fino a oggi.
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Telegiornale 27.08.2024, 12:30