In fondo lo abbiamo sempre intuito, ma ora uno studio scientifico del Max Planck Institut pubblicato anche sulla rivista “Nature Communications” ci dimostra che il piacere per la musica è un tratto almeno in parte genetico.
La musica gioca un ruolo centrale per l’essere umano: nei legami sociali e nell’interazione culturale. Ma ognuno ha un rapporto diverso con la musica. Perché alcune persone apprezzano la musica più di altre, ad esempio? La ricerca condotta da un gruppo di ricerca internazionale si è focalizzata sui gemelli monozigoti, dove il materiale genetico è molto simile. I risultati dimostrano che la capacità di apprezzare la musica è di fatti in parte ereditaria.
Giacomo Bignardi è uno dei ricercatori ad aver firmato questo interessante studio e sarà ospite della puntata odierna di Voi che sapete al microfono di Martino Donth e Giovanni Conti. Su un binario parallelo ripoteremo la “genetica musicale” in ambito storico con esempi musicali di dinastie di musicisti, in cui il fattore ereditario sembra aver giocato (almeno in parte) un ruolo importante. Per farlo saremmo in compagnia del musicologo e storica voce di Rete Due Giuseppe Clericetti.
Bignardi illustra alcuni dettagli dei risultati della ricerca:
«I gemelli omozigoti erano due o più di due volte più simili rispetto a quelli eterozigoti nella loro capacità di provare piacere dalla musica, e quindi siamo riusciti a ottenere una stima del peso dei fattori genetici sulla variabilità nella capacità di provare piacere e abbiamo messo un numero: 54%. Che semplicemente significa: il 54% della variabilità nella capacità di provare piacere della musica sembrerebbe essere sotto l’influenza di fattori genetici».
Storicamente ci sono state famiglie in cui la predisposizione per la musica ha dato frutti eccellenti - e abbondanti. Clericetti cita l’esempio dei Bach:
«Ci sono state sette generazioni di musicisti tra i Bach, tra la Turingia e la Sassonia, a partire dal 1550 fino a oltre il 1800. Si parla di 50, 60, forse 70 membri della famiglia Bach che sono stati musicisti più o meno professionisti. Addirittura, in Turingia nel 1600-1700, quando si parlava di un Bach, significava parlare di un musicista. Era quasi sinonimo parlare di Bach o di musicista».
In uno stretto rapporto fra geni e genio, nel novero dei musicisti che questa arte l’avevano nel DNA troviamo Wolfgang Amadeus Mozart. Clericetti racconta della sorella di Mozart, Maria Anna (nota anche col vezzeggiativo di Nannerl), dotata quanto il fratello ma che, per questioni culturali, fu sfavorita dal padre:
«Il maschilismo imperante ha fatto sì che Nannerl non abbia potuto intraprendere una carriera di musicista, e tutto sta a dimostrare che lei avesse delle doti uguali a quelle del fratello. Leopold, il papà, ha fatto di tutto per il figlio e non ha fatto nulla per la figlia. Stesso discorso per Fanny Mendelssohn, la sorella dotata di Felix, che è stata osteggiata in maniera clamorosa».
Questi esempi permettono di soffermarsi sul rapporto fra natura e cultura. Musicalità come fenomeno biologico, che però non può ignorare il contesto in cui si manifesta. C’è una trasmissione generazionale, spiega Bignardi, ma anche uno sviluppo personale:
«L’idea è che questa eredità può cambiare durante la vita, perché se abbiamo dei fattori genetici e delle predisposizioni quando siamo piccoli, “cascate di interazioni” con le persone che ci sono vicine, ma anche fenomeni in cui la nostra predisposizione ci porta a selezionare certi tipi di ambiente, amplificano questi tipi di fattori genetici, che interagiscono in qualche modo con la cultura, che li può sopprimere o li può in qualche modo nutrire».