Musica rock

L’arte della sopravvivenza

Ovvero come essere Keith Richards e festeggiare 80 anni

  • 18.12.2023, 05:40
  • 18.12.2023, 09:36
Keith Richards
  • Reuters
Di: Sergio De Laurentiis 

Te ne sono capitate di tutti i colori. Hai rischiato di morire in tenera età per le bombe naziste. Hai giocato col fuoco in più occasioni (nel senso che potevi finire carbonizzato almeno tre volte). Una volta ti sei beccato una scossa elettrica sul palco, un’altra sei rimasto sepolto sotto un’enorme pila di libri, ti sei fracassato diverse parti del corpo cadendo da una palma, qualcuno ha messo della stricnina nella tua eroina. Ah già, la droga. Quante volte ti hanno arrestato? Cinque. E quante volte sei finito in galera? Una. Sei invece erano i mesi che secondo quel dottore ti restavano da vivere. Eppure, sei ancora qui, con quel ghigno sghembo da gattone sornione e il tuo bell’anellone con tanto di teschio. Hai appena pubblicato un nuovo album con la tua combriccola e sei pronto a soffiare su ottanta candeline. La domanda sorge spontanea: Keith, come diavolo hai fatto?

In fondo, seguendo il Keith-Pensiero la risposta è semplice: accettati per quello che sei, impara dall’esperienza, vivi il presente e quando puoi, fatti una risata. Il Keith-Pensiero in realtà è un po’ più articolato e complesso, per molti versi sorprendente. Con la nomea che ti sei fatto chi crederebbe che uno dei tuoi primi comandamenti è “sii gentile con gli altri”? E chi crederebbe che in fondo sei sempre stato un mammone e che un altro tuo motto recita “fai di tutto per la tua famiglia e i tuoi amici”? Ah sì, gli amici. Qualcuno lo hai perso lungo il cammino, qualcuno ti accompagna dall’infanzia, come quel ragazzino che dopo essersi trasferito con la famiglia incontri di nuovo qualche anno dopo, per caso, su un treno, con dei bei vinili di musica giusta (Chuck Berry e Muddy Waters). Vi ritrovate e cominciate a suonare assieme. Poi avrai occasione di mandarlo a quel paese più e più volte, ma rimane sempre il tuo amico, l’altra faccia della medaglia perché:

 Mick è Rock e io sono Roll 
Mick Jagger - Keith Richards
  • Reuters

E per gli amici ti fai in quattro, però guai a fartene una di troppo. Chi ti conosce lo sa, e quando vede quell’occhiataccia, il “Keith-Look”, ha la matematica certezza che le cose prenderanno una brutta piega. Poi magari ti passa e tutto finisce con una risata. Altre volte no, la linea è stata oltrepassata. Il tipo che ti ha chiamato “una scimmia con l’artrite” (Elton John) e quell’altro che ti tradito dando in pasto alla stampa un tot di squallidi dettagli (il tuo autista) ne sanno qualcosa.

La tua musa l’hai riconosciuta presto, l’hai seguita senza esitazioni, con determinazione. Quando sei ancora un marmocchio tuo nonno ti sfida: “Se riesci a prendere quella chitarra appesa alla parete, è tua”. L’esito lo conosciamo. Rifletti, ti industrii, e alla fine, dai e dai, entri in possesso dell’oggetto dei desideri. La musa e la chitarra non ti abbandonano mai. Anche quando stai dormendo, come quella volta che ti svegli nel bel mezzo della notte con in testa un riff: ti trascini verso il registratore, lo fai partire, suoni la tua chitarra e poi ti riaddormenti, il tutto documentato su nastro (russamenti compresi).  È così che nasce la canzone più famosa della tua combriccola e della storia del Rock, “(I Can’t Get No) Satisfaction”, anno di grazia 1965 (per la cronaca all’epoca il nostro non aveva ancora compiuto 22 anni).

Un altro comandamento che ti ha guidato in ottanta anni passati a gironzolare sullo sferoide che ci ospita (sessanta dei quali passati calpestando palchi di tutto il mondo) è “non prenderti troppo sul serio”. Sì, ok, bel pensiero Keith, però, in fondo, uno che ha messo la firma su brani come “Satisfaction”, “As Tears go By”, “Paint it Black”, “Jumpin’ Jack Flash”, “You can’t always get what you want”, “Angie”, “Wild Horses”, “Sympathy for The Devil”, “Gimme Shelter”, “Start Me Up”, giusto per citarne qualcuno, un po’ se la può tirare, no? No, perché alla fine, dici, “mi sono limitato a fare da antenna, a captare le canzoni che vagano per l’etere”. Il minimo che si possa dire è che l’antennista ha avuto un bel mix di fortuna e buon orecchio.

Però non sarai ricordato come “l’antennista”, sarai ricordato come uno dei più grandi compositori e uno dei più formidabili sfornatori seriali di riff della storia del rock, che molto deve a te e ai tuoi degni compari. Perché, sono sempre parole tue, magari singolarmente come musicisti non siete ‘sto granché, ma assieme diventate una forza della natura inarrestabile. La prima parte è opinabile, la seconda no, nemmeno quelli che preferiscono gli altri, quelli di Liverpool, lo mettono in dubbio. E al centro di questa macchina perfetta ci sei tu.

All’istrione lasci l’occhio di bue, le linguacce, i saltelli e naturalmente il microfono, perché in quello il tuo amico Mick è imbattibile. Ma tutto il resto è in buona parte nelle tue mani: sei tu la mente, il musical director. Sul palco sei tu che detti letteralmente il tempo. Il metronomo non è l’amato, adorabile Charlie Watts, gli altri seguono te.

E quanto ci sarebbe da dire sulla musica fuori dal tempio dei Rolling Stones: i dischi, notevoli, con la tua band parallela (gli X-Pensive Winos, gli ubriachi costosi), le collaborazioni con Aretha Franklin, Chuck Berry, Tom Waits, Toots & The Maytals, l’apparizione strepitosa su “Weird Nightmare” - tributo a Charles Mingus curato dal produttore Hal Wilner - in un blues perfetto come “Oh Lord, Don’t Let Them Drop That Atomic Bomb On Me” in cui canti e suoni una delle tue tremila chitarre assieme a gente come Robbie Robertson della Band e il solito Charlie Watts.

C’è un ultimo comandamento del Keef-pensiero che vale la pena citare: “Abbi sempre fiducia nel futuro”. Ancora una volta suona strano, paradossale, che il pensiero venga da uno da sempre associato ai peggiori eccessi. Ma chissà, forse è proprio questa fiducia, genuina e irrazionale, che ti ha permesso di raggiungere il traguardo delle 80 candeline e che permette a tutti noi di festeggiare e celebrare – con un pizzico di incredulità - uno dei più grandi musicisti della storia del Rock.

It's Only Rock'n'Roll But I Like

La storia dei Rolling Stones a cura di Riccardo Bertoncelli e Sergio De Laurentiis

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