Luglio 2007, Vienna. La Rotundenplatz è piena zeppa. Splende il sole e di lì a non molto i Metallica saliranno sul palco. Intanto però la scena è del gruppo spalla, scena al cui lato l’occhio coglie un movimento inconsueto. Non succede spesso che gli headliner vadano ad assistere allo show di chi li precede, ma stavolta sì. Ecco Kirk Hammett, il solista, ecco Robert Trujillo, il bassista dei Metallica… fanno discretamente capolino dietro gli amplificatori e se ne stanno lì a guardare, entusiasti come i fan che riempiono la piazza. Quello non è un gruppo di supporto come tutti gli altri. Si chiamano Heaven & Hell ma non sono altro che i Black Sabbath. Su quel palco in quel momento c’è la storia dell’heavy metal: i padri fondatori che suonano e gli eredi, nel frattempo diventati sovrani di quel mondo, lì ad applaudirli. Una storia che è stata costruita sui monumentali riff di chitarra di Tony Iommi e anche sulla voce gigantesca di un uomo piccolo di statura che canta ancora con una potenza impressionante. Ha quasi 64 anni allora e se ne sta lì a ruggire imperiosamente, l’indice e il mignolo alzati nel suo tipico gesto. Ronnie James Dio, uno dei cantanti più influenti, rispettati e iconici della scena metal, se ne andrà tre anni più tardi, il 16 maggio del 2010, portato via da un cancro allo stomaco.
Black Sabbath, Rainbow, la sua propria band… Ronnie James Dio, al secolo Ronald James Padavona, legherà a loro il suo successo. Nasce a Portsmouth nel New Hempshire il 10 luglio 1942, in gioventù suona la tromba e il basso. Alla fine degli anni Cinquanta è in un gruppo di Cortland, New York, dove è cresciuto con la famiglia. The Vegas Kings si chiamano, ma di nomi ne cambieranno molti, sfornando diversi singoli. Anche Ronnie Padavona, che intanto passa alla voce, cambia il suo in Ronnie Dio, ispirandosi pare a un gangster di quegli anni, Johnny Dio. Il suo primo gruppo importante sono gli Elf, con cui realizza tre album a partire dal 1972. I Deep Purple li notano e li prendono come band di supporto. Da cosa nasce cosa. Il chitarrista Ritchie Blackmore sta lasciando i Deep Purple. Invita Dio a registrare un paio di pezzi per un album solista ma la cosa va talmente bene che tra il 1975 e il 1978 Dio si ritrova ad essere il frontman di quelli che diventano i Rainbow negli album Ritchie Blackmore’s Rainbow, Rising, Long Live Rock’n’Roll e nel live On Stage. La sua voce, subito inconfondibile quanto la chitarra di Blackmore, marchia a fuoco una serie di brani come Kill the King o Man on The Silver Mountain, oggi classici dell’hard rock. È potente quella voce, versatile. In una veste assolutamente rock, vi si ritrova pure l’influenza dell’opera e di Mario Lanza, il tenore-attore italo-americano di cui Ronnie era fan da ragazzino. Anche la presenza scenica di Dio è teatrale, con i suoi gesti e le sue pose. Attira l’attenzione da vero frontman. I Rainbow però sono la creatura di Blackmore. Wendy Dio, seconda moglie di Ronnie e sua manager, racconta in un’intervista al Goldmine Magazine che “Ritchie lo licenziò perché [Ronnie] non voleva scrivere canzoni commerciali”. Curiosamente, al microfono nell’ultima incarnazione dei Rainbow, ci sarà un altro Ronnie: Ronnie Romero, che dalle nostre parti conosciamo come voce dei CoreLeoni.
Ronnie James Dio non rimane disoccupato per molto. Sul finire degli anni Settanta i Black Sabbath sono in crisi. Il loro storico cantante Ozzy Osbourne è totalmente fuori controllo, persino per gli standard della band già parecchio alti riguardo al consumo di alcol e stupefacenti. Dio incontra Tony Iommi, la mente del gruppo, nel 1979 in un bar di Los Angeles: quella notte stessa scrivono il brano Children of the Sea e la sua entrata nel gruppo è decisa. Con lui, in Heaven and Hell (1980) e Mob Rules (1981), i Black Sabbath cambiano pelle. Sono più heavy e quadrati, con un frontman completamente diverso, non solo per timbro e scrittura delle parti vocali. Per il gruppo è un ritorno al successo. Anche se all’epoca non tutti i fan accettano il cambiamento, quegli album avranno un fortissimo impatto sul metal a venire. Dio lascia i Black Sabbath dopo il doppio dal vivo Live Evil del 1982 (vi torna nel 1992 per Dehumanizer). È giunto per lui il tempo di lanciarsi in un progetto solista e stabilire una sua propria identità.
Nei primi anni Ottanta la scena metal e hard rock è in fermento. In Inghilterra la New Wave of British Heavy Metal, quella degli Iron Maiden e dei Judas Priest, sta dando nuove energie al genere. Negli USA una vena più rock’n’roll trova di i suoi campioni in gruppi come Mötley Crüe, tra spandex, capelli cotonati e make up. Un’altra, radicalmente diversa, dalle sonorità più aggressive, violente e veloci ha i suoi gruppi simbolo in Metallica, Slayer, Anthrax e Megadeth che muovono i primi passi. Ci vorrà ancora una decina d’anni per lo sdoganamento planetario del genere con gli oltre 20 millioni di copie vendute del Black Album dei Metallica (1991), giusto giusto prima dell’ultima grande rivoluzione rock, quella del grunge che con metal e hard rock ha un rapporto di distacco ma anche di parentela. Ma piano piano, già nel corso degli anni Ottanta, il rock che sembrava accantonato a favore di sonorità sintetiche si riprende il suo spazio. Gruppi dati per estinti come gli Aerosmith tornano a svettare nelle classifiche e alla fine del decennio, il successo mondiale dei Guns N’Roses dimostra che il rock può vendere cifre da capogiro e tornare ad essere di moda senza rinunciare a un grammo della sua visceralità.
È l’alba di tutto questo quando Ronnie James Dio decide di mettere su la sua band nel 1983. L’album di debutto Holydiver è la quintessenza dell’artista, sulla scia di brani dai testi evocativi, prettamente metal come la title-track o con venature pop come l’irresistibile Rainbow in the Dark. Anche il successivo The Last in Line (1984) viene bene accolto. Entrambi raggiungono lo status di disco di platino negli USA e sono fra i migliori della decina che Dio realizza nei due decenni successivi. Ma il punto non è tanto il successo commerciale, relativo, ma il fatto che la sua musica, senza mai essere davvero di tendenza, è apprezzata dall’intera comunità metal e hard rock, senza distinzioni. C’è la sua voce e il suono della sua band. Ci sono i temi fantasy e medievali che gli sono cari e le sue movenze sceniche. C’è persino quel gesto, le famose corna, diventato un segno di riconoscimento in tutto l’ambiente del rock duro. Dio racconterà di averlo preso in prestito dalla nonna di origini italiane che così scacciava il malocchio (ma anche altri – come Gene Simmons dei Kiss – ne rivendicano la paternità). Si può pure ironizzare su simili pose e parodiarle. Succederà in anni recenti, ma sempre con sincero affetto, come nel caso dei demenziali Tenacious D, il gruppo dell’attore Jack Black che è un autentico fan, o della caustica serie animata South Park dove Dio compare in un episodio, segno inequivocabile che sulla cultura pop ha inciso anche lui.
Di Ronnie James Dio i colleghi parlano tutt’oggi come di una persona di gran cuore, lontana dagli eccessi tipici del rock’n’roll, grande fonte di ispirazione anche quando si tratta di impegnarsi per gli altri. Nel 1985 è l’anima del progetto benefico Hear ’N Aid, versione metal di Band Aid e USA for Africa. Oggi il Ronnie James Dio Stand Up And Shout Cancer Fund raccoglie fondi per la lotta al cancro. Se tiepidamente è stato accolto il tour che dopo la morte lo ha riportato in scena grazie a un’immagine olografica nel 2016 e 2017, l’apprezzamento trasversale è testimoniato dall’album tributo uscito nel 2014, Ronnie James Dio - This is Your Life, dove Metallica, Anthrax, Rob Halford, Corey Taylor, Lizzy Hale, Killswitch Engage…, una lunga lista di nomi illustri del genere, sono impegnati a omaggiare rivisitandoli brani storici della carriera di Ronnie James Dio, da solista, con i Rainbow o con i Black Sabbath. Proprio con i Black Sabbath Dio conclude il suo viaggio, benché in quel momento usino il nome di Heaven & Hell. È il titolo del primo album che, oltre venticinque anni prima, hanno registrato con lui ed è scelto non solo per motivi contrattuali ma proprio per chiarire ai fan quello che avrebbero ascoltato: niente brani dell’era Ozzy, niente Paranoid o War Pigs ma canzoni come Neon Knights o The Mob Rules a cui, dopo il 2009, si affiancano anche quelle dell’album di inediti The Devil You Know.
In quell’assolato pomeriggio viennese del 2007 i Metallica avevano tutte le ragioni per piazzarsi ai lati del palco ad applaudire quello che decisamente non era un gruppo di supporto come gli altri. Se non fosse stato – anche – per i membri di quel gruppo forse neppure loro quel giorno sarebbero stati lì.