Musica

Una serata con Taylor Swift

La cantautrice americana è in tour in Europa e noi siamo andati a vederla a Milano

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Taylor Swift
  • Imago / ANP
Di: Francesco Gabaglio 

Quelli di sabato 13 e domenica 14 luglio erano concerti che alcuni attendevano da anni: Taylor Swift, finalmente arrivata nel Vecchio continente, dopo aver fatto tappa a Zurigo per due date, ha portato la sua musica a Milano.

All’indomani dello strepitoso concerto di domenica a San Siro, però, a chi mi chiede come è andata – e perché ci sono andato, dal momento che un uomo di 33 anni non fa propriamente parte del pubblico di riferimento di Taylor Swift – non so bene cosa rispondere. La prima tentazione è quella di parlare di numeri: nel suo giro intorno al mondo, iniziato l’anno scorso, “The Eras Tour” avrebbe venduto circa 11 milioni di biglietti, incassando più di un miliardo di dollari solo nel 2023. Il che significa anche che si tratta del tour più di successo di tutta la storia della musica. Sono cifre folli ma, come spesso accade, le cifre non restituiscono efficacemente le esperienze reali.

San Siro - Taylor Swift
  • Francesco Gabaglio

C’è, ovviamente, lo spettacolo in sé: quasi 3 ore e mezza di concerto durante le quali la cantautrice ripercorre musicalmente tutte le “ere” dei suoi 18 anni di carriera, proponendo il meglio del suo repertorio. È una sorta di rito celebrativo condotto con l’aiuto di coreografie in stile Broadway, luci messe al polso di ogni spettatore e tifo da stadio, e cerimoniato da un’artista infaticabile che canta, suona, corre e intrattiene il pubblico senza prendersi pause e senza la minima sbavatura. Uno show forse troppo perfetto – ma questa è un’altra storia.

In realtà, però, le cose che mi hanno più colpito hanno a che vedere, più che con lo spettacolo in quanto tale, col pubblico. Sto ripensando, per esempio, al fenomeno dei “braccialetti dell’amicizia”, nato all’insaputa della cantautrice da un verso di una sua canzone che recita “So make the friendship bracelets, take the moment and taste it” (‘Quindi crea i braccialetti dell’amicizia, cogli il momento e gustatelo”). Prima di ogni concerto, i fan ne preparano alcuni inserendovi perline con citazioni, titoli di canzoni e slogan e poi, prima delle esibizioni, se li scambiano o ne danno a chi non ne ha preparati. Quando l’artista entra in scena, ognuno ne ha al polso almeno un paio. Una ragazza che ci ha offerto i suoi ne avrà avuti almeno un centinaio. Ci ha raccontato che ci ha lavorato per settimane, per poi farsi le ultime notti in bianco per finirli tutti.

Sto anche ripensando alla proposta di matrimonio che un ragazzo ha fatto alla sua ragazza durante il concerto, proprio a qualche metro da noi. E penso anche alla mia vicina di posto, che per 3 ore di concerto ha cantato a squarciagola a memoria tutte le canzoni. E non ha smesso nemmeno quando ha videochiamato sua zia per mezz’ora, mostrandole così un po’ del concerto.

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  • Imago / Italy Photo Press / Mario Romano

E poi ci sono le cose che si sono lette sui giornali nelle ultime settimane: fan americani che vengono in Europa a vedere il tour perché un viaggio in un altro continente costa meno di un biglietto statunitense dell’Eras Tour; le ragazze che si sono piazzate davanti a San Siro giorni prima dell’apertura per arrivare in prima fila; oppure, ancora, i prezzi dei ticket sul mercato secondario, che hanno raggiunto le migliaia di euro.

Di fronte a tutto questo è perfettamente legittimo e razionale chiedersi, come in molti stanno facendo in questo periodo, se non si stia un po’ esagerando. È una reazione comprensibile, ma bisogna anche tener presente che questi fenomeni che attraversano il pubblico non sono né particolarmente sorprendenti né particolarmente nuovi. Già negli anni ’60 cose simili accadevano con i Beatles, perché la musica, e soprattutto i musicisti pop, hanno sempre avuto il potere di creare comunità enormi e un po’ folli. Taylor Swift, semplicemente, è più brava a farlo di molti altri – e vive in un’epoca tecnologica e globalizzata dove può raggiungere ancora più persone di quante ne raggiungessero i Beatles.

E quindi, forse, quello che mi rimane dopo un concerto di questo tipo – e la ragione per la quale così tante persone decidono di parteciparvi – è proprio il senso di comunità, del trovarsi tra “swifties”, in questo clima festoso e un po’ adolescenziale perfettamente godibile anche da un uomo di 30 anni e più, a patto che riesca a sospendere la propria incredulità. E sono consapevole che non si tratta di una grande epifania, perché questa è sempre stata la grande forza di Taylor, fin dai primi album. Ma vedere tutto dal vivo ed essere parte di quell’energia permette di comprendere davvero e accettare questo fenomeno per quello che è. Sì, è tutto un po’ sopra le righe, ma ha perfettamente senso. Ed è bellissimo.

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Telegiornale 09.07.2024, 20:00

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