Nel 1995 Ligabue è spalle al muro, e si gioca la carriera. Sembra di leggere le tre fasi del viaggio dell’eroe: allettanti promesse, scontro con la realtà, vittoria finale in cui si riprende tutto, con gli interessi. E lui sta tra la seconda e la terza. All’epoca, infatti, il rocker reggiano ha 35 anni e sta perdendo pezzi: ha debuttato tardi, nel 1990, con l’omonimo Ligabue, grazie a Pierangelo Bertoli, dopo tanto girovagare nei locali dell’Emilia, tra provincia, nebbia e la stessa voglia di scappare che coloreranno quella prima parte della sua discografia; da lì, il successo con il singolo Balliamo sul mondo e con l’album Lambrusco, coltelli & rose (1991), che consacra quel cantautorato un po’ ingenuo misto a rock all’americana – lui dirà di essere un cantautore con il suono di una band, ma più prosaicamente il maestro è Springsteen – appena prima di una profonda crisi.
Buon compleanno Elvis
Un' ora per voi 13.04.2025, 14:00
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Sopravvissuti e sopravviventi (1993) manda all’aria i progetti: suoni più ruvidi (il grunge è nell’aria, ma Ligabue evidentemente non può permetterselo), pochi potenziali singoli, testi scuri e pessimisti e in generale un’idea di musica più crepuscolare da quella operaia e a vocazione pop degli inizi; doveva essere il passo della maturità, si rivela un flop che costa la rottura con la band che fin lì l’ha accompagnato, i Clan Destino. E, si sa, quando si cade dalla scala così presto, bisogna risalire tutti i gradini. Neanche giovanissimo, deve uscire dalle sabbie mobili per non bruciarsi, venir dimenticato o, peggio, diventare uno dei tanti. Ma è nelle situazioni così, a volte, che l’ispirazione dà il meglio. O almeno questo succede con Buon compleanno Elvis, il disco di Certe notti, di cui ora festeggia i trent’anni – ci sono ristampe e rivisitazioni, in acustico e con cover di altri colleghi, oltre a due live la prossima estate, nell’ormai solito Campovolo a Reggio Emilia e alla Reggia di Caserta.
Raccontare oggi, nell’epoca degli album mordi e fuggi, cosa sia stato per la musica italiana e per il suo autore è difficile: un milione di copie vendute, sette singoli che lo terranno alto in classifica dall’uscita, a settembre 1995, fino a fine 1996, aprendogli peraltro le porte degli stadi per il 1997; come una rivincita, non sarà solo l’album “della rinascita” di Ligabue, ma quello che ne scolpirà il nome direttamente nella storia della musica leggera italiana, che lo trasformerà in un fenomeno di costume, di massa, in parte addirittura trasversale. Più che il disco della disperazione, è quello dell’illuminazione. Perché perfino la critica, che non l’ha mai troppo amato e non gli perdonerà un’evoluzione, da qui in poi, più annacquata, non potrà che riconoscere lo stato di grazia di Buon compleanno Elvis, che proseguirà fino al 1998, con la ballata Il giorno di dolore che uno ha, il miglior pezzo che abbia mai scritto, e il film Radiofreccia, pluripremiato e sintesi dell’immaginario che Certe notti e soci avevano appena reso “suo”.
Registrato in una scuola vicino la sua Correggio nell’estate 1995, vorrebbe essere un passo indietro su alcuni errori nel passato, ma è più che altro una risposta a un’urgenza creativa rara, con una formula essenziale e vincente. Con una nuova band – spiccano i chitarristi Mel Previte e soprattutto Federico Poggipollini, che con lui costruiranno un sodalizio ultradecennale – Ligabue torna alle basi del rock, con un lavoro che dal titolo vorrebbe essere un omaggio alla storia del genere, ma che diventa un fenomeno di costume per ciò che racconta tra le righe. E cioè: Buon compleanno Elvis non è né un disco rock all’americana fatto in Italia né uno, solo, di rock italiano, come peraltro all’epoca ce n’erano tanti; è la radiografia di un sogno – quello, sì, americano – già fallito in partenza, è «certe notti la radio che passa Neil Young sembra avere capito chi sei», è l’America vista, sognata e già abbandonata dalla provincia italiana, la stessa che, per esempio, entra nell’unico intermezzo del lotto, un placido gracchiare di rane catturato di notte da uno stagno vicino lo studio di registrazione, a riportare tutti con i piedi per terra. Per questo coinvolgerà milioni di persone.
Certo, la formula rock’n’roll è senz’altro più a fuoco che in passato, sia per esempio quando si tratta di tirare dritto con riff da manuale e sia quando c’è da volare più in alto, come in Viva!, uno dei tanti classici qui domiciliati, dove domina la chitarra di Poggipollini. Ma la vera forza – che è quella di Ligabue tutto – è il raccontare storie, creare un’identità, una sorta di grande epopea degli sconfitti che, per una notte, si concedono una festa: è Vivo morto o X con il suo «il sabato la spesa, il giorno dopo in chiesa», è la domenica qualunque che entra in Hai un momento, Dio? («Ho tre domande per te: chi prende l’Inter? Dove mi porti? E poi di’, soprattutto, perché?»), è il deserto di autogrill tondelliani (lui parlava di posti ristoro, bar e stazioni) di Certe notti perché, in provincia, quello c’è, sono i personaggi spettrali di Leggero, «senza andata né ritorno, senza destinazione», in un album che dà comunque del proprio meglio nei brani con le sole chitarra acustica e voce, come un folk emiliano. È anche il grande valzer dei perennemente giovani, indecisi, sognanti: «Se c’è qualcosa di speciale passerà di qui, prima o poi» (Seduto in riva al fosso), ma anche, ovviamente, «chi s’accontenta gode, così così». Non è importante cosa accadrà la mattina dopo, se il protagonista di tutto questo cambierà vita, se sta solo sognando ancora, se si accontenterà o meno; conta solo il qui e ora.
E il miracolo – vuoi per urgenza, autobiografia, sincerità – riesce: per una volta, Ligabue è l’ibrido raro a cui ha sempre ambito, il cantautore con il suono di una band, davvero. Non andrà sempre così bene, non in termini di numeri – il successo commerciale e l’onestà intellettuali non mancheranno, ma l’idea che passerà è che sia più un ottimo comunicatore che un grandissimo cantautore – ma di resa artistica. Forse, davvero, la crisi di quegli anni accese una fiamma, lo aiutò a trovare una voce, come non sarebbe più successo in futuro. Di certo, dopo trent’anni Buon compleanno Elvis sta qui a dire che, nonostante tutto, Ligabue non è salito fin lassù, e ci è rimasto, solo per caso o per disperazione.