Erano gli anni in cui internet si affacciava, ancora timido, nelle nostre vite, gli anni dei primi sms, degli squilli, anni di forum e Myspace, anni in cui la musica viveva in un limbo tra il cambiare e il proseguire. Parliamo di quel periodo tra la fine degli anni Novanta e i primi dieci anni del nuovo millennio: un’epoca in cui mentre, forse, punk, crossover, grunge e metal trovavano esplosioni mainstream e un’importante attenzione mediatica, al rap, salvo le ovvie giganti eccezioni, toccava un ruolo più da comprimario nel panorama musicale. Ma un sottobosco di gruppi, produttori, MC e artisti continuava a credere nel genere, nelle rime e nell’aver qualcosa di importante da dire proprio in quel modo.
Anche nella Svizzera italiana, il riflesso di quel mondo in mutamento influenzava un po’ tutto. C’era la chat Ticinocom, c’erano i primi portali regionali, compresi quelli dedicati alla musica, i gruppi avevano la possibilità di aprire le proprie prime pionieristiche pagine web (con tanto di guestbook), ci si parlava sui forum specialistici, aprivano i primi blog… Si percepiva un radicale cambio di registro nel modo in cui comunicarsi che, però, non era compiuto del tutto; ancora (per fortuna?) c’era bisogno delle copie fisiche dei cd da “smazzare” ai concerti, ancora bisognava farsi conoscere alle gare di freestyle, ancora l’abbigliamento largo era identificativo dell’appartenere al movimento hip hop, ancora era importante “essere hip hop” per fare il rapper, ancora c’era bisogno di autoaffermarsi in una scena che, però, sia era via via ingrandita rispetto agli anni Novanta.
In tutto ciò, le scene (al plurale) ticinesi si accompagnavano e si contrapponevano. Lugano con B-Zone (Bellinzona, ndr) e Locarno, il Mendrisiotto, le realtà urbane con quelle più discoste: un territorio che era interessante raccontare in tutte le sue distorsioni e contraddizioni. Ed è qui che, con approcci e stili diversi, gruppi e artisti, tra fine anni Novanta e il primo decennio del Duemila, hanno provato a emergere, a lanciare critiche e messaggi, a raccontare storie con rime e beat. Anni, a onor del vero, che non erano neanche semplicissimi da fotografare perché se da un lato la sorpresa per il genere rap come un qualcosa di rottura era finita e quindi aveva un sostegno sempre minore di radio e televisione, dall’altro la forza propulsiva che avrebbe avuto internet negli anni a seguire non era ancora neanche immaginabile: girare un videoclip era qualcosa di non immediatamente accessibile, la distribuzione di brani e album era costosa e laboriosa, spuntavano qua e là i primi studi di registrazione casalinghi frutto dell’impegno e della dedizione di singoli produttori, ma ancora le registrazioni erano artigianali e impegnative… Insomma, forse è un po’ retorico da dire, ma fare musica era sicuramente meno semplice di oggi. Con la rivoluzione di Instagram e Facebook ancora lontana, con l’arrivo nel 2005 di uno sconosciuto portale dal nome YouTube (la cui reale portata si sarebbe poi rivelata solo qualche anno dopo), con l’ascesa e il (rapido) declino di Myspace il primo proto-social, il mondo musicale sembrava sul punto, da un giorno all’altro, di poter svoltare e far svoltare rapidamente, ma per chi la musica la faceva, in quel preciso momento, questo cambiamento era solo potenziale, non qualcosa di reale e tangibile.
In questo periodo, nella Svizzera italiana, nasce una scena, forse, storiograficamente sottovalutata, ma che, seppur mantenendo e rispettando l’attitudine hip hop, ha saputo rappresentare bene anche l’evoluzione del genere rap, con l’introduzione di nuove sonorità, con la tecnologia che permetteva nuove sperimentazioni, con contaminazioni innovative e anche lontane dall’idea un po’ purista degli inizi. Una scena da (ri)scoprire anche come testimone di un periodo di passaggio fondamentale, una scena in cui si rispecchia quella generazione di mezzo (di chi è nato tra l’inizio e la fine degli anni Ottanta) che è rimasta forse un po’ schiacciata dal peso storico della generazione precedente e dalla velocità di tutto ciò che è successo dopo. Una generazione che però ha saputo raccontare, raccontarsi e lasciare traccia di sé.