Guè è una certezza. Sempre. Comunque. Nella scena rap italiana, inflazionata più che mai, è uno dei pochi intoccabili, uno che ha fatto del suo mondo, del suo immaginario, della sua musica un marchio di fabbrica.
L’aspettativa, quindi, per ogni suo nuovo lavoro è quella di sentire sempre qualcosa di nuovo, di diverso, che abbia quel tassello in più dal punto di vista del gusto, della ricerca, dei suoni e delle liriche. Questo perché Cosimo Fini (il suo vero nome) ha dato alla cultura hip hop tanto e probabilmente tra i top player italiani (quelli che c’erano, ci sono e rimangono) è anche quello con lo sguardo più aperto, quello che ha sempre anticipato i trend (per dirla con un linguaggio super attuale).
“Tropico del Capricorno” parte già da un titolo importante. Un richiamo al romanzo autobiografico di Henry Miller, seguito di “Tropico del Cancro”, rimasto bandito negli Stati Uniti per ventidue anni. Non è un riferimento preciso quello di Guè, ma di sicuro una rivendicazione di libertà artistica per ribadire (qualora ce ne fosse bisogno) che con la G la U e la È si gioca in un altro campionato rispetto al panorama rap italiano.
Partiamo da qui per poi chiarire da subito che chi si aspettava un album duro e puro hip hop, soprattutto dopo il ritorno dei Club Dogo, potrebbe anche rimanere deluso. Questo è un disco di Guè, che da artista solista ci ha già abituati all’esplorazione di generi, al connubio di stili e a un mix in cui possono convivere anima gangster e cuori spezzati, ostentazione e intimità, ironia e profondità, hit pop e canzoni criptiche da ascoltare e riascoltare.
“Oh mamma mia” lancia il nuovo disco di Guè
Caracas, Rete Tre 10.01.2025, 07:30
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Così stupisce (ma poi alla fine non stupisce pensando a chi è Guè) trovare nello stesso album gli Stadio, Ele A (nuova stella del rap italiano, ma proveniente, nientemeno, che dalle lande dell’Alto Malcantone), l’omaggio a Pino Daniele nella hit con Rose Villain, Artie5ive, Shiva, Geolier… C’è uno sguardo ampio alla cultura e alla musica nelle sue forme (e nei suoi rappresentanti) più attuali così come a quelle più nostalgiche e lontane. C’è sicuramente l’amore per l’hip hop, ma anche il saper e il voler andare oltre e offrire un disco che unisce la sua inscalfibile street credibility nel mondo rap al suo essere un artista con la A maiuscola che appartiene appieno al miglior cantautorato italiano.
Il ritratto che ne ha fatto Paolo Sorrentino (ossessionato da “Tropico del Capricorno”) è quello di un artista libero, che dice e canta di quello che gli pare al di là degli stereotipi, che sono un elemento imprescindibile del suo genere, ma che nel suo mondo diventano “solo” un elemento tra tanti da cogliere e inserire in un contesto molto più ampio e ricercato fatto di influenze, incastri, citazioni, ascolti e cultura musicale, cinematografica e letteraria.
Sa parlare, Guè. E senza fermarsi all’apparenza del mondo rap, si scopre che sono talmente tante le atmosfere dipinte che è difficile anche per i non amanti del genere non ritrovarsi in qualcosa che risuoni nei propri gusti. Ci sono suoni che richiamano gli anni Ottanta, c’è il reggae, c’è il sound della West Coast, c’è il pop, c’è il rap attuale e quello “di una volta”, il tutto merito (anche) dei produttori dietro “Tropico del Capricorno”: Sixpm, Chef P, Big Fish, Bassi Maestro e Harry Fraud. Ma, va assolutamente ribadito, riuscire a mantenere, in viaggi sonori così distanti e diversi, un’unica e ben chiara cifra stilistica è il marchio di fabbrica (di cui scrivevamo all’inizio) assoluto di Guè.
Postilla tutta local. Guè vive a Lugano ormai da anni, quindi un po’ lo possiamo sentire un artista di casa nostra (esageriamo) e il fatto che Ele A sia tra i prescelti dei featuring di “Tropico del Capricorno” è un grande attestato che conferma il livello, i risultati, la credibilità e il lavoro straordinario della rapper luganese, ormai decollata sulle vette della scena italiana e europea.
D’altronde Guè è padre-padrino di intere generazioni di rapper, anche se non ha alcun timore (e ci mancherebbe) a ribadire che lui appartiene a un’altra galassia, quella dei pochi eletti in cui il talento (indiscutibile) si accompagna a una ricerca costante, al saper mutare rimanendo fedele a sé stesso, con lo sguardo di chi ha conosciuto da vicino buio e luci, successi e cadute, nebbia e serenità, vizi e virtù, demoni e redenzione e riesce a raccontare tutto (e di più).
Provocatorio, ma mai gratuito, capace di (di)segnare immaginari poetici dove però la realtà, che sia quella esterna di strada o quella interna della propria anima, è sempre ben presente.
“Tropico del Capricorno” ha il sapore dell’album “di una volta”, quello da ascoltare dall’inizio alla fine per poi farlo ripartire, senza muoversi compulsivamente tra feed e suggeriti. Ci si ferma ad ascoltarlo Guè, perché al primo giro ti sta dicendo qualcosa, al secondo ti sta dicendo qualcos’altro di diverso, al terzo cogli le cose che nei primi due ascolti non avevi neanche capito, al quarto cominciano a farsi nitide anche le sfumature e così via. E nonostante la piacevole spocchia di quello che sa come si fa non c’è traccia di arroganza in Guè, piuttosto c’è la tranquilla e (auto)ironica consapevolezza di saper fare quella roba lì, meglio di (quasi) tutti gli altri.